Fin dalla loro riformazione tredici anni addietro, la leggenda genovese dei
Sadist non ha sbagliato un colpo, regalando grandi lavori personali e innovativi, che hanno dimostrato la solidità della (nuova) formazione e del sound proposto, ovviamente differente dai primi lavori, ma in linea con la giusta evoluzione del gruppo. È meglio sottolineare “giusta”, poiché dopo l’ennesimo capolavoro “
Crust” nel ’97, che introduceva in formazione un membro fondamentale poi divenuto storico come
Trevor, la pubblicazione del controverso “
Lego” aveva quasi ridotto il gruppo a un fantasma, senza guida e senza più ispirazione. Ogni band ha piena libertà a sperimentare, ma tutti si erano rassegnati che del grande gruppo storico che firmò “
Tribe” o “
Above The Light” (ma anche “Crust”) non ci sarebbe stata più traccia.
Nel 2005 il sogno di molti, se non tutti, si avverò, e il quartetto genovese ha mantenuto le promesse. Anche se le atmosfere dei primi due storici album è, inevitabilmente, adesso in qualche modo diversa e modernizzata, l’essenza della creatura di
Tommy Talamanca non è più venuta a mancare. Mai i Sadist han potuto godere di formazione più stabile, e i dischi pubblicati ne sono la prova migliore. Grazie al supporto della
Scarlet, i Sadist tornano sulla scena con l’ennesimo lavoro ben ispirato, che fa brillare la band anche all’estero, come si spera sempre. Se si legge il titolo e si guarda la copertina, persino un cieco si accorgerebbe che Trevor e i suoi testi sono del tutto dedicati al maestro del brivido
Alfred Hitchcock. Ogni canzone richiama un capolavoro del leggendario cineasta inglese (mi raccomando, non americano), dalle pellicole più illustri, a quelle meno. Musicalmente l’anima dei Sadist non cambia. Sinfonie technical-death, cristalline, chirurgiche. Talamanca stende canovacci corposi e avvolgenti, virtuoso sia con la sei corde che con le tastiere.
Spallarossa e
Marchini lo seguono con grazia, mentre Trevor canta le atmosfere orrorifiche dei capolavori hitchcockiani, a volte furioso, altre demoniaco. L’opener “
The Birds” è una sfuriata catartica, “
Bloody Bates” e “
Stage Fright” evolvono in un progressive avanguardistico, e il resto è pura qualità. Come sempre, “
Spellbound” va gustato nella sua interezza, dove nulla è dato per scontato, e mai capita di portare la tecnica fine a sé stessa.
Esiste sempre una fascia di pubblico oltranzista che crede che mai un gruppo sia in grado di ripercorrere i fasti dei primissimi lavori, ma “Spellbound” è l’esatta evoluzione di quel gruppo formatosi a Genova nei primi anni ’90, ed è per questo che questo nuovo lavoro andrebbe supportato sia da chi segue la band dagli esordi, sia dal loro ritorno nel 2005. Non c’è niente di male ad essere fieri della nostra italianità quando gruppi come i Sadist realizzano lavori che apparirebbero più seducenti se esteri.
Non è campanilismo, ma solo onestà.