Chiudete gli occhi, sgombrate la mente e provate ad immaginare una
Los Angeles post-apocalittica, oscura e decadente, popolata da inquieti spiriti, vampiri mutanti ed innominate creature che si nutrono di carne umana…
Vi intriga?
A me sì: sarà che, nonostante l’ormai ragguardevole età, rimango pur sempre un bambinone legato a certi immaginari “fumettosi”, sarà che ho da poco visitato la città degli angeli, ma non posso negare che lo scenario evocato dalla
bio dei
Deth Crux mi abbia stuzzicato alquanto.
Purtroppo, la musica contenuta nei solchi di “
Mutant Flesh” si è rivelata, alla resa dei conti, meno affascinante…
La doppietta iniziale, in effetti, fallisce nell’intento di impressionare l’ascoltatore, ma permette quantomeno di inquadrare le coordinate musicali entro cui il quintetto si muove, ossia un
gothic rock al tempo stesso ingentilito da tenebrose influenze
dark wave (
Bauhaus e
Fields of the Nephilim i riferimenti più spendibili) ed imbastardito da un’abrasiva vena
punk, oltre che dal retaggio estremo di alcuni componenti (che militano altresì nei
doomster Buried at Sea e nella compagine
black/
death Lighting Swords of Death).
Un
melting pot sonoro instabile ma ricco di potenziale, che si giova di un
mixing oltremodo generoso con la sezione ritmica -in generale molto buona la produzione ottenuta dal
sound designer Sanford Parker, che a
curriculum può vantare collaborazioni con
Leviathan,
Wovenhand,
Nachtmystium e
Voivod- e di un impianto lirico morboso e perverso, fatto di sangue, sesso deviato e paranoia suburbana.
Peccato che, ad affossare le velleità del
platter, intervengano alcune criticità piuttosto vistose:
- i brani troppo spesso si trascinano senza sussulti, anche a causa di passaggi tra strofa e ritornello poco demarcati e di
chorus privi di enfasi;
- alla lunga infastidisce l’eccessiva uniformità del
songwriting, che conduce, in più di un’occasione, ad una sostanziale sovrapponibilità di linee vocali e
riffs;
- l’approccio canoro baritonale, (semi)stonato e nichilista a cavallo tra
Jyrki dei
The 69 Eyes,
Glenn Danzig e
Joey Ramone, seppur coerente col genere proposto, risulta davvero troppo monocorde ed inespressivo.
Ogniqualvolta i
Deth Crux riescono a smarcarsi da tali inciampi, “
Mutant Flesh” prende immancabilmente quota: penso alle
keyboards malandrine alla
Christian Death di “
Black Abominable Lust”, agli ariosi arrangiamenti di “
Chrome Lips” ed alla urticante scelleratezza della
title track, in cui emergono addirittura echi dei
The Stooges.
Menzione d'onore anche per “
Persephone is Half Human”, dal titolo deliziosamente
horror-punk e dalla linea di basso degna dei
The Sisters of Mercy, e per la conclusiva “
Yellow Sky” il cui incedere paludoso viene lacerato dalle incursioni al
sax del
guest Bruce Lamont (
Yakuza,
Corrections House).
Mi piace pensare che i difetti presenti in “
Mutant Flesh” possano rientrare nell’alveo dei cosiddetti vizi di gioventù; in fondo, stiamo discutendo del
debut album di una formazione ancora alle prime armi, ed appare ragionevole mettere in conto qualche ingenuità.
Già oggi, in ogni caso, gli amanti delle sonorità sopra descritte troveranno pane per i loro denti; tuttavia mi piace pensare che il meglio, per i
Deth Crux, debba ancora venire…