Deve essere una sorta di attrazione fatale, una fascinazione perversa che mi spinge ad ascoltare nuovamente un album del genere, come un abisso orrido che, per qualche strano meccanismo della mente, ci attrae.
VotIVe, che con sottile eleganza porta nel titolo anche il numero, è il quarto full-length degli
Ophidian Forest, una band spezzata tra Paesi Bassi e Stati Uniti. Definirlo strano sarebbe un eufemismo.
VotIVe è disturbante, assurdo, fatto di elementi incongruenti e segmentati.
Non succede spesso che la musica riesca a creare uno stato di inquietudine così tangibile.
Eppure non riesco a farne a meno.
VotIVe è materia oscura, dissonante, incline al male. Eppure da questo disarmonico complesso di suoni gli Ophidian Forest riescono a trarre un album dal profondo fascino. Black metal, ambient, psychedelic, pagan, noise, drone... sono tanti gli elementi che confluiscono all'interno di questa proposta. A volte sembra tutto uno scherzo... poi però capisci che c'è la volontà di costruire qualcosa di insolito. Effetti psichedelici, chitarre sintetizzate (che non è mica facile abituarsi a questo sound), una voce sgraziata, caustica, e poi un muro sonoro, una vibrazione continua, che colma ogni spazio. E da questa nube, fumosa e malsana, si elevano a turno i vari strumenti, mixati in ogni brano in modo diverso, per dare risalto alle varie componenti, con linee che si sovrappongono, si interrompono, si sovrastano, creando un amalgama cacofonica oscura e seducente.
La seduzione del male.
Nerthus, il primo brano, innalza muri sonori che crollano all'improvviso mentre si estendono spazi ambient. Poi ecco una synth guitar che con le sue note corpose si staglia dominante su tutti scolpendo un riff bellissimo e trascinante. Siamo già piegati al suo volere. La voce sembra seguire una sua strada, mentre in secondo piano si svolge un articolato gioco di effetti psichedelici. La batteria accelera sino a prendere ritmi furiosi e a tutto questo, d'improvviso, si aggiunge una tromba, ma si certo sintetizzata anche quella, cazzo però se ci sta bene.
Baduhenna è un pezzo bellissimo già dal nome, una dea pagana germanica. Tutti i titoli dei sette brani sono tratti dai nomi di divinità pagane precristiane. Spogliato di questi suoni sintetici sarebbe un perfetto brano black metal, con un finale che mi azzarderei a chiamare epico, e certamente lo è, anche nella strana veste di questi suoni robusti, polverosi e densi. Che solo quando si spengono, alla fine, ci si rende conto di quanto, riempiendo ogni singolo spazio, fossero pieni e opprimenti.
Sandraudiga avanza con un ritmo più cadenzato, gioca sulle atmosfere, con un qualcosa di malinconico ed al tempo stesso inquietante, e quando la batteria sembra impazzire mente le chitarre gemono suoni liquidi e disciolti ci si ritrova persi in un meraviglioso gioco di echi che riverberano fino alla parte finale, da brividi, che potrebbe benissimo essere stata rubata alla colonna sonora di un film tipo Blade Runner.
Lo stupore, o per meglio dire lo smarrimento, non cessano. La traccia successiva,
Vagdavercustis, si presenta con un mix di voce acida, batteria micidiale, violino e banjo, e se non stupisce più il banjo, che tanto anche i
Taake ce l'avevano già messo in un pezzo black, stupisce che questa formula così insolita con la quasi totale assenza di chitarre sia così accattivante e ben riuscita.
In
Nehalennia quella parete noise si attenua lasciando prevalere complesse melodie di tastiere mentre la strumentale
Viradectis reitera una melodia sinuosa e magnetica che conduce verso la traccia finale dell'album,
Hella, un brano che finalmente allenta le tensioni accompagnandoci verso la conclusione dell'album.
Che cos'è questo album... così grezzo, primitivo, ipnotico e affascinante?
Votive è qualcosa di orrendamente bello, ed io sono qui, ad ascoltarlo ancora una volta.
Quando guardi a lungo nell'abisso, l'abisso ti guarda dentro...