La prima cosa che viene in mente guardando il cantante-chitarrista Danko Jones, è che si tratta di uno di quei tipi che ha il successo assicurato presso il pubblico femminile. Di nazionalità canadese ma di probabili origini caraibiche (perlomeno ad occhio…nda), madre natura lo ha generosamente dotato di quel fascino discreto che ispira fiducia e simpatia. Il viso pulito ed attraente del classico bravo ragazzo della porta accanto, quello che ogni genitore vorrebbe veder uscire con la propria figlia e che ogni ragazza sogna altrettanto di avere a disposizione, perché sotto la patina d’innocenza ci sono i segnali di una carica erotica pronta ad emergere al momento giusto. Per completare il quadro aggiungiamo il fisico atletico, il look sobrio e privo degli orpelli da ciurma dei pirati così di moda oggi, infine la solita aura particolare che circonda i musicisti di una certa notorietà, ed otteniamo una specie di versione ripulita, corretta, ben educata e molto meno vistosa, del carisma da sciupafemmine di un Lenny Kravitz.
Con premesse del genere diventa inevitabile pensare al solito bluff creato a tavolino dagli esperti di mercato, uno dei tanti modelli bellocci scelti soltanto in base a criteri telegenici e piazzati a forza in qualche pseudo-band, con l’unico scopo di fare presenza e fingere di capire qualcosa di musica.
Bene, Danko Jones non potrebbe essere più distante da questa descrizione, anzi letteralmente all’opposto. Il ragazzone è un rocker sul serio, uno di quelli veri che ci mettono cuore ed attributi. Basta vederlo trasfigurato e marcio di sudore in una delle tante foto che lo ritraggono sul palco, dove può abbandonare le pose da copertina e sfogare la sua indole rock’n’roll.
Ma soprattutto è un tipo irrequieto, vulcanico, che ama cimentarsi in nuove sfide per dimostrare di essere artista vario e completo. Nei precedenti lavori aveva spaziato dal rockblues torrido al puro heavy metal, ottenendo risultati più che lusinghieri ma circoscritti ad un pubblico di settore.
Adesso è tempo di puntare al successo di livello superiore, di raggiungere il tipico ascoltatore medio che vuole un rock gradevole, orecchiabile, senza eccessi, adatto ad ogni situazione e stato d’umore, ma anche carico di fisicità ed energia. E questo album risponde esattamente a tutti i requisiti richiesti, con il grande pregio di essere ancora sufficentemente tosto per interessare gli amanti della corrente hard.
Solare, trascinante, divertente, pieno di potenziali hit-single dal perfetto equilibrio tra grinta e melodia pop-radiofonica, brani non troppo aggressivi o invadenti ma che assolutamente mai scadono nell’esecuzione molle o spompa, in sostanza l’esempio perfetto di un disco nato per soddisfare orecchie di ogni tipo.
Più delle mie descrizioni, per capire la situazione basta lasciar parlare l’opener “Sticky situation”, irresistibile singolone da manuale che dietro la facciata di grande immediatezza nasconde però una pulsante vena adrenalinica, quel pizzico di carnalità rock che purtroppo è quasi sempre assente nei lavori rivolti al pubblico generico.
Invece i Danko Jones mostrano di essere preparati sulla materia rock, studiata non sui pallidi epigoni contemporanei bensì sui classici che hanno scritto la storia. Una “Baby hates me” può nascere solo dall’inconfondibile matrice dei primi Ac/Dc, il che rende l’idea di quali sono i punti di riferimento della band canadese.
Per non dilungarsi troppo, le principali cose che emergono dall’ascolto di “Sleep is the enemy” sono sostanzialmente tre: è un disco ben fatto, il nome Danko Jones indica un vero power-trio e non un terzetto di figuranti, infine il disco contiene un buon numero di episodi che si possono sentire e risentire senza il rischio di annoiarsi.
A beneficio dei puristi che non ammettono il rock senza suoni ruvidi, chitarroni distorti e ritmiche battenti, consiglio un’occhiata alla seconda metà dell’album, dove sono concentrati i momenti più rocciosi, iniziando da “Invisible” che ha come ospite speciale un certo John Garcia (Kyuss / Hermano). E quando il mitico vocalist, uomo dall’enorme personalità ma che non brilla per espansività e disponibilità, onora un artista con la propria presenza si può essere certi che non si tratta di un bidone.
Sarebbe una prova addirittura eccellente se non vi fosse qualche episodio sottotono, tra i quali lo scivolone forse più evidente è “Don’t fall in love” che ricalca spudoratamente i QotSA più scanzonati, fallendo per il semplice fatto che roba del genere, vedi clap-hands in sottofondo e cori da surfisti in amore, se la può permettere solo la cricca di Homme e neppure sempre. Comunque dal trio canadese non si deve pretendere chissà quale capolavoro, bensì una mezz’ora di allegra positività ed una manciata di pezzi che si stampino in mente, ed in questo ci siamo di sicuro.
Così senza aver dovuto barattare l’anima per il successo non mi sorprenderebbe vedere Danko Jones scalare la chart americana, perchè il suo rock è più sano e godibile di tanto pattume insipido ed artefatto che spopola di questi tempi.