Seguo le sorti dei capitolini
Lahmia ormai veramente da tanti anni, da quel demo di esordio intitolato "
An Eternal Memory" del 2007 che mi fulminò come San Paolo sulla via di Damasco.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, anche per loro visto che poi dal debutto sulla lunga distanza "
Into the Abyss", uscito per
Bakerteam Records, sono ormai passati quasi sette anni, un periodo di assenza e di silenzi che non lasciavano presagire nulla di buono.
E chissà se la resilienza di cui ci parla il loro secondo album si riferisce in qualche modo anche alla loro capacità di affrontare tutte le difficoltà, trovare nuove energie e ripartire alla grande. In effetti i Lahmia non cambiano registro musicale, ma certamente con tutta la maturità personale e musicale accumulata nel frattempo riprendono in mano il canovaccio del loro death metal melodico intessendolo in maniera più carismatica e personale. Ovviamente i riferimenti ai caposaldi del genere, ovvero i sempiterni
Dark Tranquillity ed
In Flames - quando erano ancora dei musicisti - rimangono inalterati, ma si intuisce chiaramente la volontà di compiere un passo in avanti pur senza ne' rinnegare le proprie origini ne' anteponendo le proprie abilità personali al comune sentire di una formazione che suona death metal.
Il core dei Lahmia ruota intorno alle figure di sempre
Ciaccia,
Gianello ed
Amerise, nel frattempo sono cambiati batterista con l'ingresso di
Andrea Torre ed un chitarrista nella figura di
Mathias Habib, ed il sound proposto si distingue per una vena costantemente negativa e malinconica, unita all'impatto dei riff ed alla melodia delle linee di chitarra e degli assoli e la ferocia vocale di Amerise: questo trait d’union costituisce la forza e la peculiarità principale del quintetto che bilanciando e dosando questi aspetti riesce ad articolare e variare la propria proposta, passando da momenti più heavy ad altri talvolta più thrashy, altre volte più squisitamente death metal, passando anche per l'epicità nordica dei vecchi
Amon Amarth; addirittura in brani come "
The Frayed Lines of Time" si percepiscono echi di
Novembre, a cui ci ricolleghiamo per sottolineare la produzione davvero brillante di
Giuseppe Orlando ai suoi
Outer Sound Studios ed arricchita dal mastering di una celebrità come
Mikka Jussila agli altrettanto famosi
Finnvox Studios.
"
Resilience" non perde un colpo, è costante, fluido, ammaliante, anzi cresce durante il proprio sviluppo, inaspettatamente presenta il suo meglio durante il momento che meno ti aspetteresti, ovvero quello della lunga suite "
The Age of Treason", dodici minuti che i Lahmia affrontano e comunicano con la semplicità e la naturalezza di un attacco da 4 minuti, e nel brano conclusivo che a nostro avviso è anche quello più intenso ovvero "
Existential Vastness", vero omaggio alla nera decadenza che ritroviamo da anni nei maestri
Swallow the Sun, in cui si entra in territori doom con un approccio al contempo moderno (grazie agli intrecci di chitarra) e tradizionale, con un risultato depressivo e sognante.
Se il buongiorno si vede dal mattino, domani sarà una pessima giornata.
E ne godremo.