È sempre sbagliato generalizzare, ma trovo comunque difficilmente contestabile l’inclinazione dei nostri amici transalpini all’autoreferenzialità e, perché no, ad un pizzico di megalomania sciovinista.
Di esempi ne avrei a millanta, ma per non alimentare polemiche del tutto estranee a questo portale (visto anche il momento delicato nei rapporti
Italia -
Francia) mi limiterò al caso che ci occupa.
Ecco, dunque: quest’oggi scriviamo di una giovane band che decide d’intitolare il proprio
full length d’esordio “
Grand Oeuvre”, e che indica quale unica influenza musicale
Bach…
Ehm, non esagerate con l’umiltà ragazzi, mi raccomando.
Per onestà intellettuale vi confesserò che, a fronte di tali, tronfie premesse, la tentazione di affibbiare un voto basso aleggiava nella mia testolina; d’altro canto, essendo io un recensore integerrimo (?), ammetterò invece che la compagine proveniente da
Lione -a proposito di polemiche legate alla mesta attualità politica…- riesce, alla riprova dei fatti, a farsi decisamente apprezzare, seppur con alcuni distinguo che andremo a svolgere a breve.
Anzi, procediamo immantinente: “
Grand Oeuvre” evidenzia sin dal titolo pregi e difetti del
platter.
Da un lato, infatti, assistiamo compiaciuti al dispiegamento di una formula compositiva magniloquente ed oltremodo densa, in cui
black metal atmosferico (ma non sinfonico) ed il
funeral doom più sepolcrale si congiungono in una impura unione. Unione volta a generare atmosfere desolate ed arcane al tempo stesso, che si incastrano in brani di lunga durata, dai ritmi cangianti (benché tendenti alla lentezza) e di difficile decriptazione.
Dall’altro, ahimè, ci rendiamo conto che cotanto ben di dio (si fa per dire) non sempre funziona in termini di struttura, o presunta tale; talvolta si fa strada il pernicioso dubbio che le canzoni vengano quasi utilizzate alla stregua di dispersivo ricettacolo di partiture accatastate l’una dopo l’altra senza apparente costrutto, come a voler raggiungere i dieci minuti ad ogni costo.
I
Triste Terre, almeno alle mie orecchie, rimangono più di una volta prigionieri di un
modus operandi caotico, in cui si fatica a rinvenire il bandolo della matassa -non aiuta, in tal senso, la convulsa produzione a firma
Rob Carson-.
La situazione è senz’altro destinata a migliorare ad ogni ascolto, utile altresì a far emergere momenti di gran valore (citerei in tal senso la disperata progressione di “
Nobles Luminaires” ed il
feeling occulto di “
Lueur Emérite”) ed accorgimenti degni di lode (
in primis il ricorso, con modalità non dissimili da quelle degli ultimi
Fleshgod Apocalypse, a
vocals in
clean impostate su tonalità altissime).
Eppure, anche a seguito di molteplici ascolti in cuffia, “
Grand Oeuvre” continua a palesare un certo grado di disorganicità ed inconcludenza.
Il bicchiere, ad ogni modo, è mezzo pieno: i
Triste Terre sono giovani e possiedono talento, un
sound molto interessante e le qualità per costruire una discografia di tutto rispetto.
Però magari la prossima volta lasciate perdere
Johann Sebastian, ok?
Da tener d’occhio.