Davvero curiosa la storia di questi ragazzini americani provenienti dalla Pennsylvania la cui fondazione avviene nel 2013 per opera del chitarrista, nonchè vocalist,
Lucas Flocco il quale, a seguito dello split con gli “
Outlander”, decide per l’appunto di formare una nuova band sotto il monicker di
MORTANIUS che annovera tra le sue fila anche altri giovanissimi musicisti praticamente sconosciuti, come
Victor S Cardone alla batteria,
Michael Gissi all’altra chitarra ed
Eric Giannone, sostituito l’anno successivo da
Jesse Shaw al basso. Dopo 3 mini EP, che contengono cadauno 2-3 brani propri e qualche cover per lo più pop-rock, nel 2017 la band entra in studio per la registrazione del vero e proprio album di debutto, ma proprio in quel momento. ben due membri su quattro, precisamente
Cardone e
Gissi, decidono di intraprendere altre strade, abbandonando
Flocco e
Shaw al loro destino.
Cosi, ci vogliono ben 2 anni prima di vedere completato “
Till Death Do Us Part”, disco in cui i due musicisti rimasti tentano di sopperire alle partenze dei loro ex compagni di viaggio circondandosi di collaborazioni e “special guests” del calibro di
Leo Figaro (vocalist dei “
Dragon Guardian”),
Ollie Bernstein (chitarrista degli “
Ousiodes”) e soprattutto
Jonas Heidgert (singer dei “
Destiny” ed ex-“
Dragonland”).
La proposta musicale avanzata dai
Mortanius in questo esordio che, per direzione stilistica e sonorità, sembra riportarci indietro nel tempo, precisamente agli anni 90, è un misto di progressive, power e symphonic metal dalle influenze spiccatamente neoclassiche, come si evince sin dalla prima traccia “
Facing The Truth” in cui sembra di ascoltare il primo
Malmsteen o gli
Elegy di “
Supremacy” ovvio, con le debite proporzioni e senza la freschezza dei lavori di questi due illustri predecessori. Nella successiva “
Disengage”, aperta da una tastiera che crea della atmosfere cupe e malinconiche, continuano i paragoni con i grandi del passato e stavolta i riferimenti vanno ai “
Symphony X” di “
The Damnation Game”, il pezzo tutto sommato è piacevole e si regge su un perfetto equilibrio tra prog e power con dei cori che esaltano il cantato conferendo maggiore epicità al brano mentre la chitarra di
Flocco fa degnamente la sua parte. E’ la volta poi di “
Jaded”, traccia che sembra essere concepita appositamente per l’ex frontman dei “
Dragonland”
Jonas Heidgert il quale difatti, si trova perfettamente a suo agio all’interno di queste sonorità ed atmosfere malinconiche dal sapore agrodolce. Il pezzo più complesso dell’intero album è indubbiamente la title-track, della durata di ben 18 minuti, che può essere considerata una sorta di sintesi di tutte le caratteristiche sin qui descritte ed in cui le influenze con i maestri del genere emergono nuovamente in maniera prepotente, quasi pesante. La struttura della traccia è in continua evoluzione, secondo la tradizione prog, ma le linee melodiche (anche qui dalle tinte fortemente drammatiche) e vocali sono tipicamente classicheggianti mentre la sezione ritmica alterna parti veloci ad altre più cadenzate,
Flocco e
Shaw ad ogni modo dimostrano di avere delle apprezzabilissime doti tecniche. Si arriva poi alla conclusione del disco affidata a “
Last Christmas”, l’immancabile cover (appuntamento fisso evidentemente per la band), ma obiettivamente la canzone degli
Whaam si adatta ben poco ad un sound metallico, sebbene i nostri ragazzini tentino in tutti modi di tramutarla nella classica ballata metal, ma il risultato finale lascia alquanto perplessi.
Insomma ricapitolando, l’album tutto sommato si lascia ascoltare e i
Mortanius si dimostrano una band dal gusto musicale sopraffino e dalle ottime capacità, tuttavia in certi frangenti appare davvero troppo derivativo e privo di quella freschezza ed ispirazione che ci si attenderebbe da una band che, al suo debutto, dovrebbe avere qualcosa in più da dire e mostrare al pubblico, piuttosto che “scimmiotare” i grandi del passato anche se di contro, vanno ricordati tutti i problemi di line-up verificatisi alla vigilia dell’entrata in studio, che hanno indubbiamente reso complicato il processo di song-writing e quindi non è corretto essere eccessivamente severi nei confronti di un gruppo che comunque lascia intravedere qualcosa di buono e da cui è lecito auspicarsi qualcosa di più in futuro.