Il
virus dei “ritorni” sembra proprio inarrestabile, un fenomeno evidentemente impossibile da arginare, nei confronti del quale non si riesce al momento a intravedere un antidoto efficace.
In alcuni casi di questa dilagante “epidemia”, però, non si può che essere felici del “contagio”, accogliendo con entusiasmo la riapparizione di formazioni meritevoli, non particolarmente fortunate (anche nei tempi recenti, a leggere le note del
booklet …) e in qualche modo vittime delle tante difficoltà (mal) affrontate dalla scena metallica del
Belpaese negli anni ottanta.
Uno di questi è sicuramente quello degli
Hate, coalizione ligure artefice di due promettenti
demos (“
Shoot at sight” del 1986 e “
The warder” del 1987), apprezzata per una serie importante di esibizioni
live (il
Metal Day di Bologna con Bulldozer, Paul Chain, Danger Zone e Halloween, più altri
show al fianco di Necrodeath e Sabotage …) e poi affidata all’oblio anche a causa di un tragico evento (la prematura scomparsa del chitarrista
Daniele Ainis).
Ed ecco che “
Useful junk”, lavoro autoprodotto distribuito dalla
Black Widow Records, rappresenta, più che il futile tentativo di recuperare “il tempo perduto”, un sentito omaggio a chi non c’è più e, soprattutto, la risoluta volontà di musicisti preparati e ispirati di riprendere ad esprimere tutto il loro amore per un suono immortale, assecondando un sentimento che si può forse reprimere ma mai annientare del tutto.
Gli
Hate oggi suonano
hard-rock impastato di
blues e lo fanno con una disinvoltura e qualità compositive e interpretative davvero spiccate, mettendo a frutto nel migliore dei modi l’imprescindibile lezione di Whitesnake, Great White e AC/DC.
Nulla di “nuovo” dunque, eppure la dimostrazione che il
feeling può ancora sconfiggere la
routine, quando ci sono il talento e le motivazioni giuste a pilotare le mosse artistiche di una
band.
L’introduttiva “
Play it louder”, pulsante e grintosa, dispone subito favorevolmente all’ascolto di un albo che con “
Jenny” prosegue sulla stessa falsariga aggiungendo al ruvido impasto una manciata di lustrini
glam (alla maniera di T.Rex / Mott The Hoople) e con “
Do the right thing” avvolge l’astante in un nobile manto fatto di Led Zeppelin e Whitesnake.
E’ ancora il
Serpente Bianco a sibilare tra le note di “
Your troubles”, mentre sono le celebri “
fiamme di gloria” di
Jon Bon Jovi-ana memoria a baluginare su “
Pouring rain”, in un omaggio suggestivo e piuttosto riuscito.
Lo spigliato
rock n’ roll “
City of dreams” e un altro palpitante numero
hard-blues (con finale sinfonico!) denominato “
This game” avallano la validità di un’opera assolutamente consigliabile agli estimatori del genere, i quali, ne sono certo, approveranno senza indugi la
rentrée degli
Hate, un gruppo che, abbinando esperienza e vitalità, ha ancora molto da dare anche al confuso
rockrama contemporaneo.
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