Giunge al termine la saga visionaria di
John Mitchell dedicata a un’astronauta immaginario che viaggia nel tempo e nello spazio, e lo fa nel migliore dei modi grazie a un album equilibrato e riuscito sotto tutti i punti di vista
(e facendomi tirare un bel sospiro di sollievo dopo lo “scottante” ultimo album marchiato KINO, ndr).
Il chitarrista inglese non ha mai celato le sue influenze, facilmente riconoscibili anche in questo
“Under Stars”. Se non sorprendono i rimandi ai “mostri sacri” del prog come Genesis e Pink Floyd (penso alla titletrack o alla morbida
“How Bright Is The Sun?”, che non avrebbe sfigurato in un album di
Steven Wilson), c’è però da segnalare qualche decisa - e piacevole - incursione in territori ambient/elettronici (
“Terminal Earth” profuma di Vangelis tanto quanto certe timbriche di
“Icarus” e di
“Inside The Machine” rievocano l’opera di Kraftwerk e Tangerine Dream).
Non mancano episodi più tirati -
“The Only Time I Don’t Belong Is Now” e
“When Gravity Fails” - in cui spicca l’estro di
Craig Blundell, fedele batterista al fianco di
Mitchell già da molto tempo
(film già visto con Neal Morse e Mike Portnoy, no? ndr). Tra i (tanti) momenti soffusi, una menzione speciale va riservata alla conclusiva
“An Ending”, perfetto epilogo corale dal gusto teatrale.
A presto
Lonely Robot.
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