Rockofili, scribacchini e autorevoli critici musicali (o presunti tali …) sono sempre alla ricerca della “novità” e, attendendosi una risposta in questo senso soprattutto dai gruppi “giovani”, mostrano spesso nei loro confronti un’attenzione particolare (a volte permeata di un pizzico di eccessiva, incoraggiante, benevolenza …), anche per garantire la necessaria “conservazione della specie”.
Un approccio razionalmente corretto e giustificato, che però rischia di essere del tutto soppiantato da opere assolutamente rigorose, realizzate da un manipolo di “veterani” che evidentemente non hanno ancora perso la voglia di stupire puntando sulla vocazione, sul talento e su dosi spropositate d’ispirazione.
“
Winds of change” è proprio uno di quei dischi capaci di sovvertire ogni considerazione dettata dalla pura logica, di farti seriamente riconsiderare la necessità di una qualche prospettiva “avventurosa” nella musica e di gettare addirittura qualche “ombra” sul valore effettivo di una bella fetta della scena “emergente”.
Chi poi avesse espresso qualche dubbio sull’efficacia di una
all-star band, credo dovrà rivedere le sue perplessità, dacché nonostante sotto la denominazione
Jim Peterik & World Stage sia raccolta una ricchissima rappresentanza dell'
élite mondiale del
rock melodico, il prodotto finale gode di una compattezza e di un’armonia davvero encomiabili.
Insomma, come già avvenuto nell’episodio precedente del progetto,
Jim Peterik, dall’alto delle sue inattaccabili “vicende” artistiche (che mi auguro siano di “pubblico domino” …) riesce a coinvolgere un numero impressionante di suoi pari e a confezionare un
album davvero stellare, imprescindibile per tutti i sostenitori del più puro
AOR statunitense, quello delle grandi melodie, degli ampi spazi, delle avvolgenti spire sentimentali e, perché no, di quel pizzico di “ridondanza” che lo rende uno dei generi più edonistici della storia delle sette note.
Un luculliano banchetto sonoro che vi sazierà con dosi imponenti di
feeling profondo e genuino, quasi si trattasse di una “sfida” (risolta con tutti vincitori e nessun vinto …) tra musicisti della stessa specie, disinvoltamente impegnati a confrontarsi su chi alla fine sarà in grado di conquistare lo scettro della partecipazione emozionale.
E allora via all’ottovolante delle “menzioni d’onore”, iniziando da
Danny Chauncey e
Don Barnes dei 38 Special, che impreziosiscono una
title-track da contagio istantaneo, passando da
Mike Reno che inocula l’effervescenza dei suoi Loverboy nelle fibre di “
Without a bullet being fired”, per concludere il terzetto iniziale con l’aristocratica "
Proof of heaven”, a cui contribuisce fattivamente un luminare della materia come
Dennis DeYoung.
Echi di Journey e The Storm rimbombano, anche grazie all’ugola sempre emozionante di
Kevin Chalfant, nel clima enormemente suggestivo di “
Sometimes you just want more” e se l’intervento di
Toby Hitchcock trasforma “
Home fires” in una credibile e intrigante
outtake dei Pride Of Lions, l’inconfondibile voce cristallina di
Kevin Cronin conferisce alla ballata “
Just for you” la celebre carica evocativa dei REO Speedwagon.
In un lavoro privo di sconvolgimenti stilistici, le piccole “sorprese” sono delineate dall’ardore “epico” conferito alla magistrale “
The hand I was dealt”, con il grande
Danny Vaughn (Tyketto) sugli scudi, e dalla
chance concessa a
Lars Säfsund e
Robert Säll, nella
poppettosa “
Where eagles dare”, di prendere parte a una “festa” tanto esclusiva … una sorta di autorevole e definitivo
imprimatur alla presenza dei Work Of Art nell’ambito
Empireo del settore.
Una tipica esuberanza “californiana” alimenta “
I will what I want”, che non a caso vede tra i protagonisti un
Kelly Keagy in forma smagliante, mentre qualora cerchiate eleganza e vaporosità ecco che il maestro
Jason Scheff metterà fine alle vostre indagini, marchiando il clima sinfonico e satinato di “
You’re always there”.
Ancora due scosse, prima delle considerazioni finali … “
Avalanche”, con i gemelli
Nelson impegnati in un pulsante
groove rootsy, e poi forse la più intensa di tutte … i toccanti chiaroscuri romantici di
“Love you all over the world”, intrisi della classe immensa del mai troppo compianto
Jimi Jamison.
Qualcuno, ne sono certo, si affretterà a bollare “
Winds of change” come il trionfo del “mestiere” e della “nostalgia”, ma anche se ovviamente in
Jim Peterik & World Stage l’esperienza e la tradizione sono elementi importanti, copiosamente rappresentati, una prestazione di questo livello espressivo ed emotivo non merita niente di meno che una fragorosa ovazione, da tributare senza preclusioni a questi autentici e immarcescibili
Sovrani dell’
Adult Oriented Rock.