“It is happening again”. Con questa citazione tratta dalla storica prima serie, Showtime presentava il ritorno di Twin Peaks dopo ben 25 anni. Ricordo che i fan pregustavano quel momento con impazienza, la stessa impazienza “positiva” che mi sembra aver caratterizzato l’agognato nuovo full-length dei
Tool (reputo impazienza “negativa” quella legata a “Chinese Democracy”, ma questa è un’altra storia).
L’ho presa larga, ma l’unica certezza che ho dopo i ripetuti ascolti di
“Fear Inoculum” è che se Twin Peaks 3 (come tutta la filmografia di
David Lynch) lo capiremo davvero soltanto tra 5 o 10 anni, l’ultima fatica discografica degli americani suona già di una pesantezza indescrivibile.
Ricordate i
Tool di
“Lateralus” e
“10.000 Days”? Quelli che guardavano al futuro indicando la strada da seguire? Quelli che potevano permettersi di suonare con i
King Crimson? Scordateveli.
I
Tool di oggi - figli del grunge di ieri, ora più che mai - sono una macchina da guerra del self-marketing, abili nel parlare poco e comunicare ancora meno, ottima cover band di sé stessa come dimostrano le estenuanti
“Fear Inoculum” (tutto già sentito),
“Pneuma” (sorprendentemente simile a
“Vicarious”),
“Invincible” (con i suoi synth posticci e l’inutile vocoder),
“Descending” (un po’ di ambient non guasta mai, inoltre i synth erano rimasti accesi dalla traccia precedente),
“Culling Voices” (il famoso “sublime arrangiamento del nulla”),
“Chocolate Chip Trip” (davvero mi si vuole far credere che questo episodio strumentale sia in qualunque modo frutto di anni e anni di lavoro di cesello?) e
“7empest” (fotografia sbiadita della band che fu), tracce che non partono mai - e se lo fanno si fermano quasi subito - con un
Maynard James Keenan noioso e annoiato, probabilmente proiettato verso esperienze artistiche senz’altro più gratificanti.
Grazie ai
Tool per averci preso per il
naso per 13 anni.