Ho difeso a spada tratta la metamorfosi degli
Opeth operata da
“Heritage” in avanti (pure da prima, pensando a
“Damnation”). Il songwriting nostalgico ma maturo di
Mikael Åkerfeldt è cresciuto nel tempo regalandoci buona/ottima musica fino al recente
“Sorceress”. Eppure, con il nuovissimo
“In Cauda Venenum”, qualcosa sembra essersi inceppato.
Trattandosi del terzo album con la medesima formazione - da lustri qualcosa di inconcepibile in casa
Opeth - mi sarei aspettato un lavoro più coeso e meno solista, ma non mi sembra il caso del qui presente full-length (segnalo giusto delle tastiere alle mie orecchie ancora più presenti).
Aspettative a parte, bisogna ammettere che
“In Cauda Venenum” (per la prima volta nella doppia lingua nazionale/internazionale come vuole la miglior tradizione progressiva) non aggiunge davvero nulla nel percorso artistico della band.
Fiumi di mellotron, timidi vagiti elettronici, distorsioni rétro, chitarre acustiche come se piovesse, orchestrazioni che nemmeno i Moody Blues, se da un lato rievocano i “bei tempi che furono” (a cominciare dalle atmosfere opprimenti del quasi omonimo lavoro dei nostrani Jacula), dall’altro sanno di occasione mancata e lasciano quella sensazione vagamente irritante di compitino ben svolto, di musica
piacevole che scorre senza lasciare veramente il segno.
Ok
Mikael, abbiamo capito che ti piacciono Uriah Heep, Led Zeppelin, Genesis e Black Sabbath… e quindi?
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