Giunti al loro quinto album, i The Quill sono ormai veterani di quella moderna scena hard rock che si ispira apertamente alla tradizione settantiana. Le origini del gruppo svedese risalgono ai primi anni '90, un periodo ben poco ricettivo per uno stile fortemente debitore dei classici del passato. Infatti, subito bollati come anacronistici e fuori moda, i The Quill hanno seriamente corso il rischio di bruciarsi una carriera appena iniziata.
La loro fortuna è stata quella di accodarsi alla crescente ondata stoner, pur non avendo granchè da spartire con essa. Così nel '99 pubblicano "Silver haze", il loro disco con più contenuti hard-psichedelici e perfino qualche leggero ammiccamento allo stoner (a mio avviso il migliore dell'intera discografia..nda), mettendosi in grande evidenza all'interno di quell'area musicale proprio nel momento della sua espansione.
Le notevoli qualità degli scandinavi ottengono il giusto premio con la firma del contratto per Spv/Steamhammer, al quale fa seguito un periodo molto positivo sia in ottica collettiva che per le felici avventure dei singoli componenti, vedi le collaborazioni con Firebird, Spiritual Beggars, Archenemy, ecc.
Raggiunta la sospirata tranquillità professionale i The Quill hanno fatto il punto sulla loro identità stilistica, operando scelte molto precise.
I primi due albums realizzati per l'etichetta tedesca sono stati all'insegna di un hard rock classico dalle atmosfere sontuose ed eleganti, tecnicamente brillante e curato nei particolari, espresso con grande forza ed energia ma limitato nella ruvidità e con una sensibile diminuzione delle infiltrazioni psichedeliche e stoneggianti.
Il nuovo "In triumph" segue pienamente tale impostazione, un logico segno di continuità ma allo stesso tempo indicativo del desiderio di rifugiarsi nella sicurezza di una formula consolidata, evitando rischi e pericoli legati ad eventuali cambiamenti.
E' vero che c'è la novità della fuoriuscita del bassista Roger Nilsson, sostituito da Robert Triches, ma la perdita non risulta determinante visto che oggi il vero ed unico motore della formazione è rappresentato dall'affiatamento tra la voce di Magnus Ekwall e la chitarra di Christian Carlsson.
L'intero disco come già i precedenti ruota intorno a quest'asse, mettendo in primo piano le fantasiose architetture dei riffs e delle misurate eruzioni solistiche, ed ovviamente le splendide e sofisticate tonalità del cantante, da tempo considerato uno dei più dotati eredi della miglior tradizione classica.
In generale i brani si confermano di buon livello, ancora una volta frutto di un calibrato songwriting, ma tendono a diradarsi i gioielli di levatura superiore ai quali la band ci ha abituato. Traspare una sottile sensazione di staticità, un leggero appannamento creativo mascherato dal mestiere e dall'abilità strumentale, una sottile sensazione di pigrizia comune nei gruppi che hanno elaborato una forma efficace e definitiva. Può essere un eccesso di severità, perchè in rapporto a tante altre uscite questo rimane un disco notevole, ma è naturale che da una band di grande potenziale come i The Quill si pretendano sempre cose ben superiori alla media.
Restano comunque ottimi gli episodi alimentati dalla venatura Zeppelin-iana, fedele compagna degli scandinavi fin dagli esordi. Rientrano in questa fascia l'hard squadrato e battagliero "Keep the circle whole", dove è ancora presente un pizzico di magico alone psych, l'affascinante e sinuosa "Black" che impreziosisce le sue spire con tocchi di melodia orientale, ed ancora la rocciosa e bluesy "Triumph is a sea of flame", tutti esempi di Quill-style che reggono il confronto con la miglior produzione della band.
Tra i brani dall'impatto più heavy ed epidermico spiccano invece "Trespass" e la conclusiva "Down", buona miscela di ritmiche battenti, vocals anthemiche ed echi settantiani, mentre altrove spunta qualche manierismo un po'più logoro e sfruttato.
Nell'insieme il bilancio dell'album rimane comunque positivo, d'altronde i The Quill ribadiscono i punti di forza consolidati nel tempo: la magistrale sensibilità nel coniugare gli influssi retrò-rock con l'attitudine contemporanea e l'indiscutibile talento nel rifinire la loro proposta. Piccoli e semplici segreti che hanno reso questo gruppo ugualmente gradito ai rockers di lungo corso ed anche a chi non sopporta le vibrazioni vintage.
Senza troppo esagerare possiamo pensare ai The Quill come l'anello di congiunzione tra l'epoca gloriosa di Led Zeppelin, Deep Purple, Whitesnake e gli altri nomi storici, e l'odierna versione heavy rock dei vari Spiritual Beggars, Grand Magus, Novadriver ecc, una collocazione in equilibrio tra passato e presente che il quartetto svedese sembra voler perpetrare ad oltranza.
Il disco piacerà parecchio ai fans della band, anche se resta un gradino sotto rispetto alla vecchia produzione. Per gli altri è un ascolto valido, ma chi vuole ammirare i The Quill all'apice della forma dovrebbe partire da altri titoli.