Quarto album per gli psiconauti norvegesi
Kal-El, che per l'etichetta italiana
Argonauta avevano già realizzato l'ottimo "Astrodoomeda" nel 2017. Uno stile che potremmo definire psycho-fuzz-hard-rock-blues, viste le molteplici influenze che emergono dal denso sound della formazione di Stavanger. I nove minuti della magmatica "
Anubious" si aprono con il basso poderoso di
Elisabeth "Liz" Thompsen, per sfociare in un andamento trippy-space alla Red Giant/Fuzz che alterna passaggi rocciosi molto seventies a liquidità chitarristiche cosmiche. La voce di
Stale Rodvelt ("Cpt. Ulver") ha un buon timbro melodico velato di orecchiabile malinconia, come notiamo nella bellissima title-track, eccellente e memorabile episodio di rock psichedelico, così come nella più hard e diretta "
GG77", granulosa e a tratti bombastica.
Il lungo percorso di "
Incubator", oltre dieci minuti, evidenzia pienamente il "wall-of-sound" generato dai
Kal-El: linee di basso quasi sludge, chitarre distorte e spaziali, atmosfera da campo gravitazionale, assoli da viaggio narcotico, ritmiche fluide e stordenti, un vero trip nella miglior psichedelia heavy contemporanea. In chiusura dell'album, il groove tossico e corposo alla Nebula di "
Moon unit" ed una brillante cover acida e massiccia del superclassico "
Cocaine", che proietta la storica canzone di J.J. Cale in una nuova dimensione interstellare.
Gran bel gruppo, gran bel disco. Come accade sempre più spesso per i prodotti targati
Argonauta. Se apprezzate il neo-psych-rock è assolutamente da avere.
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