Alla lettera M dell'ormai piuttosto voluminosa enciclopedia dedicata al recente "revival" ottantiano, sarà necessario aggiungere un nuovo capitolo: quello riservato ai teutonici Mad Max.
Michael Voss (Bonfire, Casanova, Silver, ...), Axel Kruse (Jaded Heart), Jürgen Breforth (Tanner) e Roland Bergmann, rispolverano monicker e line-up anni '80 e scoprono nelle liriche (scritte da Breforth) del disco del ritorno (dall'eloquente titolo "Night of white rock") quell'attitudine ad affrontare tematiche "spirituali" e "religiose" che li può avvicinare da questo punto di vista ai Christian-rockers per eccellenza Stryper.
Sarò sincero, questa continua proliferazione di (più o meno) "vecchie glorie" al rientro sulla scena e il relativo adeguamento ad un trend evidentemente in qualche modo vantaggioso, mi fa nascere più di un dubbio sulla genuinità di questo tipo di scelte e non mi, come dire, predispone, molto positivamente all'ascolto dei frutti della loro "improvvisa" riapparizione, ma anche tenendo conto di tali presupposti, il disco in questione appare come una rappresentazione di hard 'n' heavy melodico di stampo germanico piuttosto efficace e convincente, senza peraltro che la cosa stupisca più di tanto, tenendo conto del grado di "esperienza" nel genere su cui possono contare i signori coinvolti nel progetto.
Riffs satinati, piglio mordace delle melodie vocali, un preciso equilibrio tra eleganza ed energia, con itinerari musicali che si spingono fino al class metal californiano, non consentiranno, a chi ama questi suoni, di rimanere insensibile di fronte all'assalto meditato di "To hell and back again" o non essere ammaliato dal sofisticato romanticismo "made in Bon Jovi" di "Unbelievable", non appassionarsi per le armonizzazioni di "Sun", non scorgere, nelle gradevoli cadenze chitarristiche di "Homeless", le conseguenze della puntura degli Scorpioni più infetti di Germania (nella loro versione maggiormente "yankee", veri e propri "padri putativi" di tutta una generazione di kraut-rockers) o ancora non godere della palpabile intensità emotiva che investe "Bad day in heaven" e delle trame mutevoli della title-track.
Riusciranno i nostri eroi a farsi largo in un mercato discografico sempre più affollato da infinità d'uscite? Ai posteri l'ardua sentenza, ma vista la qualità di "Night of white rock", credo che un "posticino" se lo meritino tutto e chissà che oggi, tenendo conto dei contenuti dei testi, ci sia qualcuno "lassù" che sia disposto a dar loro una piccola mano supplementare!
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