Dopo il ritorno dei Down e gli strepitosi Queens of the Stone Age occorreva una terza realizzazione per completare il podio dell’annata che và a terminare. L’attesa è finita con l’arrivo del nuovo disco degli Spiritual Beggars, un colpo da maestro di quel talento della metamorfosi che è Michael Amott, capace di esprimersi a livelli straordinari in situazioni musicali completamente differenti tra loro. Nel caso degli S.B. il progresso dai tempi di “Another way to shine” è stato notevole se non addirittura sbalorditivo. Amott ha gradualmente focalizzato la propria dedizione all’hard rock settantiano, l’ha consolidata e cementata con le sue basi metal ed infine ha lavorato dove ancora era necessario: nel dare luce ad ogni singolo brano, vibrazioni uniche ed inconfondibili che possiamo percepire solo nei lavori di altissima qualità. Sfruttando il titolo di una delle canzoni possiamo definire gli svedesi come un gruppo composto da giovani uomini che possiedono anime antiche, per la loro ammirevole capacità di reinventare il formidabile feeling del rock storico armandolo di poderosa immediatezza moderna, senza nulla concedere alla semplice nostalgia o, peggio ancora, all’anonima rilettura di vecchie pagine musicali. “On fire” tiene fede al titolo (non a caso un richiamo ad “In rock”), è un album che brucia di passione ed energia, classico ed attuale al tempo stesso, ed in assoluto praticamente privo di difetti. La fuoriuscita di Spice non ha causato danni, anzi il suo successore Janne Bergstrom (Grand Magus) merita elogi per una migliore versatilità nelle impostazioni vocali e per il suo ruggito imponente, mentre l’altra new-entry Roger Nilsson (The Quill ed ora anche Firebird) ha significato solidità ed esperienza. Il fulcro di tutto resta comunque la magica simbiosi che si è instaurata tra l’axeman ed il tastierista Wiberg, una coppia che inevitabilmente rievoca lo storico duo dei Purple, o altre soluzioni celeberrime quali Blackmore/Carey, Crane/DuCann, Hensley/Box, situazioni sonore che hanno sempre portato a momenti memorabili di grande rock. Ascoltando due tracce puramente strepitose come “Black feathers” e “The lunatic fringe”, i migliori hard rock ascoltati negli ultimi tempi, il paragone ad esempio con l’immortale “Stargazer” non mi è sembrato per nulla irriverente. Rocciosi e melodici, sensuali ed aggressivi, gli Spiritual forti di uno stile ormai inconfondibile, rifiutano con ragione di essere ingabbiati nel calderone delle stoner-bands, pur se qualche strizzata d’occhio ai fans del genere si coglie nella magnetica “Look back”, in effetti il loro è un sound compatto e concreto che non offre spazio a lungaggini autoindulgenti, merito della bravura di Amott nel costruire in brevi attimi assoli stupefacenti e sazianti, all’interno di tracce molto pesanti come “Street fighting saviours” e “Beneath the skin”. In merito al miglioramento nella varietà di schemi che porta questo cd ai vertici della produzione del gruppo ed alla scena heavy in generale, il nuovo cantante ha portato in dote perfino qualche influsso doomeggiante nel segno dei Magus, e la cadenza più cupa di “Young man, old soul” si propone come stimolante contrasto al tiro impetuoso di “Fools gold” e “Dance of the dragon king” nello stile ormai caratteristico della band già lodato in “Ad Astra”. Fantasia brillante unita ad ottima tecnica e ad un attitudine positivamente settantiana colloca la formazione svedese nella ristretta cerchia di coloro che invece di imitare vengono imitati ed assurgono a fonte d’ispirazione per gli altri. In un periodo in cui tanti si affannano a decretare la morte dello stoner-rock (fastidioso perché anti-trend), inteso in tutta quella musica che trae alimento dalle creative epoche del rock, proprio gruppi che da quest’area sono partiti riescono a mettere a segno i colpi più importanti dell’anno. Si può negare l’evidenza, ma chi ascolterà l’eccezionale “On fire” (e spero tanti..) fugherà i dubbi su quale settore heavy è il più vitale del momento.
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