Con il titolo "On the line" si manifesta l'ennesimo esempio di ritorno discografico, in un momento "storico" davvero proficuo per questo tipo d'operazioni, e che questa volta riguarda i "quasi famosi" Vain, capaci di guadagnarsi gli onori della cronaca con uno strepitoso debutto, "No respect", uscito su major Island nel 1989 (recentemente ristampato dalla Gott Discs) e apice di un successo mai più replicato nei dischi successivi, in ogni caso, dal punto di vista artistico, abbastanza interessanti.
Ricordo il buon Davy, leader del gruppo in questione, anche nelle vesti di eclettico producer e, a questo proposito, destò qualche "scalpore", in un'epoca in cui le intransigenze di "genere" erano più diffuse e sentite di oggi, la sua attività in questo senso per gli ispano-filippino-californiani Death Angel, formidabili interpreti di un thrash/speed veramente "illuminato", ciò nondimeno effettivamente un po' lontano dai suoni che il loro produttore amava esibire con la sua band.
A dispetto delle solite inevitabili diffidenze, il disco è un eccellente esempio di hard 'n' sleazy rock, con parecchie attinenze a quel tipo di musica che i gruppi che "affollavano" il Sunset Boulevard (anche se i Vain sono di S. Francisco) qualche tempo fa (diciamo a cavallo tra la fine degli anni '80 e l'inizio del decennio successivo) solevano adottare come base per i loro racconti "dissoluti", in questo caso caratterizzata dalla voce così particolare del singer, con il suo timbro vagamente nasale, drammatico, seducente e adeguatamente "vissuto", ma oggi i Vain, pur senza rinnegare le loro radici, sembrano appena un pochino più malinconici e "morbidi", con un incremento, forse, di quel sapore agrodolce, quasi inevitabile conseguenza di una certa "disillusione" e "consapevolezza", le quali hanno in minima parte sostituito la maggiore "spensieratezza" degli esordi; insomma la band appare "cresciuta", senza per questo essersi minimamente "imborghesita" o imbolsita.
Nel 2006 come nel 1989, non c'è alcuna patina di "finzione" o la benché minima ombra di "posa" nella proposta dei nostri statunitensi, il feeling che si respira tra questi solchi è praticamente inarrestabile, con i due chitarristi West e Scott, che impartiscono una dura lezione a tutti quelli che credono che per essere definiti veri "guitar-heroes", sia la tecnica, l'unico indispensabile requisito: la loro prestazione sa essere precisa e, soprattutto, incredibilmente eccitante, capace parallelamente d'intensità sofferta o di fisicità liberatoria.
Se avete notato una sorta di "accelerazione" in senso positivo delle mie parole per quest'analisi, è semplicemente perché questa rispecchia esattamente le sensazioni che ho provato durante l'ascolto di "On the line", in un costante crescendo d'approvazione per un album che, a conti fatti, non offre brani che meritino di essere trascurati.
A partire dalla verve coinvolgente e in qualche modo "antica" di "Running on empty", "On the line", "Keep shining on" e delle attraenti inquietudini di "Lie for love" e "Drag me", passando per le magnifiche "So free now", "Last sin" e "Slave", tre gioiellini di pulsante melodia, e arrivando alle atmosfere leggermente più "rockeggianti" di "Turn to sand" e della splendida "Cover me (one more time)", i Vain mettono in campo un'ispirazione "disperatamente" autentica, tale da sorprendere anche il più scaltro (e, perché no, pure un po' scettico) dei sostenitori del settore, ma anche di persuadere chiunque voglia dare credito a questi consumati "ragazzi di strada".
"On the line" è andato sicuramente parecchio oltre le mie attese; mi aspettavo un lavoro "di maniera" e ho ritrovato un gruppo alquanto trascinante e convincente, dallo slancio ancora decisivo ... Ora non mi resta che attendere fiducioso anche il come-back di The Throbs, Sea Hags e Royal Court Of China ... è chiedere troppo?
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