Sono trascorsi più di quindici anni dall'album d'esordio "Epicurean mass" (2003, Psychedoomelic) che aveva consacrato gli
Orodruin come una delle stelle nascenti del panorama classic doom internazionale. Da quel momento la band di Rochester (NY) è invece sparita dai radar, pubblicando soltanto la compilation "Claw tower...and other tales of terror" (2004, Psychedoomelic), composta da un ep e qualche estratto dai demo, e pochissimo altro. Anzi, il chitarrista
John Gallo si era attivato con un proprio progetto, di nome Blizaro, con il quale ha realizzato un paio di full-length. Ma ora la formazione statunitense torna alla ribalta con questo "
Ruins of eternity", pubblicato da
Cruz del Sur Music.
Non c'è più il drummer originario Mike Waske, che ha lasciato lo scorso anno, quindi delle parti di batteria si è occupato il bassista/vocalist e mastermind
Mike Puleo ma, a parte questo, il discorso musicale riprende esattamente dove si era interrotto.
Doom metal nella scia di bands come Candlemass, Trouble, Solitude Aeturnus, Saint Vitus, Cathedral, con l'inconfondibile miscela di appeal melodico, atmosfere ombrose, citazioni sabbathiane ed energia e dinamismo heavy. Questo gli
Orodruin lo sanno gestire alla perfezione, con grande sensibilità e songwriting sempre fluido, ispirato, vitale e funzionale alla proposta. I passaggi oscuri e rallentati si coniugano con accelerazioni che profumano di NWOBHM, i riff Iommi-iani si sciolgono in eleganti cavalcate chitarristiche che ci riportano ai gloriosi tempi di Cirith Ungol, Quartz, dei primi Maiden, mentre la limpida voce di
Puleo garantisce l'indispensabile vibrazione di malinconia ed epicità.
Gli elementi più classic doom emergono nelle cadenze rallentate e maestose di brani come "
Man of peace" o nelle sofferte e poderose "
Letter of life's regret" e "
Hell frozen over", mentre l'anima dark rock si esprime nelle accelerazioni e negli assoli melodici di "
Forsaken" e "
War on the world". Il pezzo migliore, in una scaletta di livello elevato, è probabilmente "
Voice in the dark" per la raffinatezza dell'impianto strumentale, per la tensione drammatica del cantato e per la squisita atmosfera doom metal. Anche la title-track, posta alla fine del lavoro, riassume bene l'impostazione stilistica di questa band, competente nel fondere l'oscurità uggiosa ed evocativa del doom con il dinamismo metallico degli anni '80.
Un bel ritorno sulle scene, coerente col passato ma ricco di ispirazione e convinzione. Per gli amanti del doom più tradizionale è un ascolto quasi obbligato.
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