I
Crystal Eyes, giunti con
Starbourne Traveler al loro ottavo lavoro discografico, sono indubbiamente una band unica nel suo genere, è assai raro infatti trovare, nel panorama metal, nel corso dei tanti anni di carriera (nel caso specifico, se ne contano ormai 27!) una simile coerenza nei confronti del proprio sound (nel tempo maturato, ovviamente) e delle proprie idee, portate avanti con fierezza ed orgoglio, a dispetto di un genere, il power metal che, se quando il gruppo svedese emetteva i suoi primi vagiti conosceva il suo massimo splendore, ha oggi inevitabilmente perso d’intensità e qualità rispetto a quei gloriosi anni. Nonostante ciò, i nostri sono andati avanti dritti per la loro strada, incuranti delle mode, delle logiche di mercato e soprattutto senza rifugiarsi in improbabili stravolgimenti stilistici (come hanno fatto tanti altri gruppi, con scarsi risultati peraltro, vedasi Blind Guardian o Sonata Arctica, tanto per citare i primi due nomi che mi vengono in mente), e lo hanno fatto sfornando sempre album di ottima fattura, troppo spesso sottovalutati. Forse, proprio questa (apprezzabilissima) dedizione alla causa è stata, paradossalmente, anche la condanna dei
Crystal Eyes che non hanno mai sfondato veramente come avrebbero meritato, ma sinceramente, a noi va benissimo cosi, anzi una simile coerenza va inevitabilmente lodata, essendo ormai divenuta una qualità davvero più unica che rara ai giorni nostri.
Ma veniamo a
Starbourne Traveler, un album che innanzitutto vede un parziale stravolgimento della line-up rispetto al precedente Killer, difatti accanto agli storici
Mikael Dahl (chitarra) e
Claes Wikander (basso), fanno il loro ingresso in formazione
Henrik Birgersson (batteria) e
Jonatan Hallberg all’altra chitarra. Il disco parte davvero fortissimo, nelle prime tracce si può trovare quanto di meglio il genere abbia saputo offrire nel corso dei decenni a noi poveri mortali, nonchè tutte quelle influenze che hanno da sempre caratterizzato il suono della band svedese. Troviamo cosi un pò di Running Wild (
Side By Side,
Into The Fire), di Grave Digger (
Gods Of Disorder), di Gamma Ray (
Extreme Paranoia pezzo, a dire il vero, ripescato dal demo del 1997, intitolato The Final Sign), di Hammerfall (
Starbourne Traveler), e di Accept (
Paradise Powerlord), mentre un brano come
Corridors Of Time (titolo non casuale forse) sembra provenire da primissimi album della band per la sua freschezza.
Verso la fine il disco accusa qualche piccolissimo calo di tensione, anche se, a onor del vero, si tratta di episodi circoscritti e alquanto brevi, soprattutto quando
Mikael Dahl e soci decidono di smettere di suonare ciò che gli riesce meglio, ovvero del sano power metal, a favore di ballads (
In The Empire Of Saints) o di brani con chiarissime influenze AOR (
Midnight Radio), sia chiaro che le songs sono entrambe valide, tutt’altro che brutte, ma semplicemente inferiori al resto del disco, che si chiude con la bellissima
Rage On The Sea, traccia anch’essa ripescata dal demo The Final Sign e ri-registrato alla grande per l’occasione.
In conclusione insomma, i
Crystal Eyes si sono dimostrati ancora una volta (qualora ce ne fosse bisogno) una band affidabile, realizzando un altro bellissimo lavoro, intenso ed ispirato, senza tradire il proprio credo musicale e la fiducia dei loro estimatori.