Anche in Sud-America cominciano finalmente a mettersi in luce piccole realtà alternative che rifuggono le correnti heavy più inflazionate. Una situazione inaugurata dagli ottimi argentini Los Natas, imitati successivamente da un manipolo di formazioni che hanno avuto l'opportunità di farsi conoscere oltre i confini nazionali.
Così anche l'attiva Psychedoomelic ha provato a setacciare questo scenario in fermento, pescando i Reino Ermitano in quel di Lima, storica capitale Peruviana. Il gruppo, pressochè sconosciuto al di fuori della propria nazione, ha esordito ufficialmente nel 2003 con un album autoprodotto per il mercato locale, mentre ora con questo secondo full-lenght può giocare le sue carte in ottica internazionale.
Come spesso accade con le bands latino-americane, la prima cosa che si nota nella loro musica è una particolare vibrazione esotica legata all'intreccio delle diverse anime culturali di quelle terre. In altri contesti musicali da tale miscela di influenze è stata prelevata la componente tribale e selvaggia delle radici native, mentre i peruviani ne sfruttano invece l'aspetto folkloristico-rurale, che in versione pura ed originale portò ad esempio uno straordinario successo agli Inti-Illimani. I Reino Ermitano logicamente adattano questo feeling alle proprie esigenze, elaborandolo con un bel tocco leggiadro e sognante che disegna immagini di rituali magici e di profondi misteri legati alla natura. Vengono inserite aperture etno-folk all'interno dei brani facendo uso di strumenti anomali quali flauti e mandolini, in abbinamento all'utilizzo costante dell'idioma iberico.
Variazioni di sicuro effetto, ma da centellinare con astuta parsimonia per il forte rischio di scadere nel provincialismo. Infatti il quartetto è attento nell'evitare di inquinare la matrice principale del proprio sound, nettamente heavy doom/stoner.
Uno stile pesante ma non monolitico, denso ed agile, ricco di momenti torbidamente heavy ed atmosfere drammatiche, slanci poderosi ed aperture acustiche, buon senso del groove e fantasiose fughe solistiche, il quale testimonia il possesso di un ottimo bagaglio tecnico e la validità del ventaglio di soluzioni non scontate. Anzi il miglior pregio dell'album lo scopriamo proprio nel dinamismo e nella varietà dei brani, tutti irrobustiti da frequenti cambi di ritmo e da impennate di tensione, nonchè nella matura spigliatezza con la quale vengono affrontate tanto le situazioni oscure e doomy quanto i momenti più intimi e riflessivi, ed ancora le tumultuose fasi aggressive o le tranquille oasi nostalgiche.
La band ha preso qualche spunto dalla vecchia scuola di Pentagram o St.Vitus ma anche da quella più recente dei vari Cathedral, Penance, Place of Skulls, ecc, senza però cedere nulla sul piano dell'autonomia personale.
Gli episodi sono tutti degni d'interesse, citiamo comunque come rappresentativi della qualità del lavoro il tiro stoner-doom massiccio e sinistro di "Curandero de una realidad incierta", le brillanti articolazioni di "Elipses", maestoso slow di stampo settantiano immerso in una tenebrosa atmosfera dai toni quasi rituali, ed ancora la splendida "El fauno" che integra l'incedere solidamente marziale con una linea melodica che profuma di antiche ballate popolari.
Notiamo che il disco trasmette una sensazione di libertà dai vincoli troppo rigidi ed un'attitudine spirituale sul modello di The Hidden Hand o Spiritu, forse qui con radici più neo-pagane, che regalano un arioso fascino anche alle trame più oscure e complesse facendole risultare vitali e vibranti, all'opposto ad esempio delle deprimenti sofferenze cimiteriali di certo gothic-doom teatrale.
In questo modo ogni schema può aprirsi alle intuizioni jammistiche del chitarrista Guevara ed alle improvvisazioni ritmiche incalzanti, emergendo da percorsi impegnativi come "Crepuscular" o dal lungo cammino della superba "Oceania", epico crescendo evocativo che segna l'apice compositivo e strumentale del gruppo sudamericano con un meraviglioso mix di doom-rock, fuochi metallici e pennellate malinconiche.
Se proprio vogliamo trovare un neo nella prova dei Reino Ermitano, può essere quello del lato vocale.
La cantante Tania Duarte è capace di ammaliare nelle parti rilassate o addirittura languido-struggenti, vedi la ballata cristallina "Magdalena del mar" non a caso composta dalla vocalist stessa, ma desta molte perplessità nei momenti aggressivi, quando sembra voler imitare i toni misterici di Lori S. degli Acid King ottenendo però risultati davvero incerti.
E' uno spazio di possibile crescita per il futuro, ma a parte questo il disco dei Reino Ermitano è pienamente riuscito, nonchè una delle più belle sorprese degli ultimi tempi. Lo consiglio senza timore a tutti quelli che amano le contaminazioni stoner-doom, e caldamente a chi apprezza semplicemente l'heavy rock fantasioso, intenso e maturo.
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