Avete presente quelle simpatiche rimpatriate di natura scolastica o lavorativa nelle quali ci si ritrova, magari dopo molto tempo, a rivangare i “bei” tempi andati, raccontando per l’ennesima volta quegli aneddoti di vita comune ormai celebri e ritrovarsi a riderne (con un pizzico d’inevitabile malinconia) come se fosse la prima volta che li si sente? Ebbene è così che mi piace immaginare l’atmosfera nella quale si è svolta la lavorazione di questo nuovo parto del Michael Schenker Group (ma, più verosimilmente, in epoche di “hi-tech” e business sfrenati, la faccenda si sarà realizzata in maniera completamente diversa!), nel quale il buon Michael raccoglie tutti i cantanti che hanno partecipato al suo progetto nelle varie epoche, li affianca all’attuale singer e sfrutta l’occasione (in maniera sicuramente più costruttiva di quanto accade normalmente nelle situazioni da me ipotizzate) per “raccontarsi” con la musica, quello strepitoso veicolo espressivo che spesso e volentieri, plasmato dalle mani sapienti del Gruppo, si è trasformato in autentica magia hard-rock.
In generale, quando si deve giudicare un qualunque prodotto che vede il coinvolgimento di Herr Schenker, mi rendo conto di essere un po’ troppo indulgente, e questo è forse dovuto ad una forma d’involontaria “riconoscenza” per i tanti momenti musicali d’assoluto “godimento” che l’istrionico guitar-hero tedesco ha saputo regalarmi con MSG, UFO e Scorpions, ma in questo caso, sforzandomi di essere un “modello” di obiettività, non c’è nessuna componente di gratitudine nella mia valutazione e presumibilmente anche proprio per questa sua indole “celebrativa” e di “esplorazione” concettuale a valenza storica, trovo che “Tales of rock ’n’ roll” sia un disco alquanto riuscito, coinvolgente, fatto di riffs e licks adescanti, solos che intagliano con agilità la memoria (per effetto di una fluidità tecnica praticamente unica al mondo) e di voci ispirate, passionali e appassionate … un bell’album quindi, con tutta probabilità non all’altezza dei capolavori passati o capace di sovvertire le regole del gioco del mercato discografico, ma ciononostante sempre incredibilmente piacevole ed appagante.
La nuova voce Jari Tiura, un pregevole incrocio tutto scandinavo tra Dickinson e Dio (ma per il momento, ovviamente, senza la loro personalità) si destreggia con buona sicurezza occupandosi di ben tredici tracce sulle diciannove presenti e dimostra, soprattutto con “Setting sun”, “Dust to dust”, la scura “Voice of my heart”, “Journey man”, “Human child” (dall’andamento in alcuni momenti lontanamente accostabile alla mitica “Holy diver”) e “Freedom”, che le scelte dell’uomo della Flying V (almeno da questo punto di vista) non sono affatto discutibili, ma sarei poco sincero se non ammettessi che ascoltare la laringe sagacemente “granulosa” di Graham Bonnet intonare da par suo l’eccellente “Rock’n’roll” o quella pastosa e calorosa di Gary Barden applicarsi su “Life vacation”, mi ha sicuramente procurato qualche brivido in più.
Emozione che si estende, poi, anche all’ardore bluesy di “Angel of avalon”, dove è Leif Sundin ad impossessarsi del microfono ed ai duelli tastiera/chitarra che fanno da familiare corollario a “Big deal”, con l’esperto Kelly Keeling autore di una discreta prova complessiva, mentre ancora meglio di loro fanno Chris Logan, nella splendida “Dreams inside” e Robin McAuley che, in “Tell a story”, riporta la memoria alla versione maggiormente class metal del memorabile combo, quando cioè, sorprendendo un po’ tutti, l’egocentrico chitarrista di Savstedt, accettò che il cognome dell’ex vocalist dei Grand Prix venisse affiancato al suo nel monicker della sua creatura personale.
Se aggiungiamo al quadro generale anche la presenza di Pete Way al basso (ma ricordiamo anche quella del poliedrico Jeff Martin alla batteria), beh, direi che l’effetto “nostalgia” si può veramente considerare completo, respingendo al contempo, però, ogni possibile accusa di mancanza di freschezza.
Un venticinquennale festeggiato nel migliore dei modi, con un occhio alla “storia”, ma altresì pronti ad affrontare nuove sfide, senza perdere comunque quelle caratteristiche straordinariamente “classiche” insite nel patrimonio genetico di questa fantastica esperienza artistica.
Altro che “The Big Chill”, “Compagni di scuola”, “Italia Germania 4 a 3” o “Regalo di Natale”, il MSG possiede ancora un grandissimo calore “nell’anima” e nella sua condotta non c’è l’ombra d’idealizzazione eccessivamente compiaciuta del passato, d’insoddisfazioni esistenziali, di bilanci carichi d’amarezza o di rivincite e lontano da un’operazione esclusivamente revivalistica, “Tales of rock ’n’ roll”, sa accontentare sia gli irriducibili sostenitori del “come eravamo”, sia chi ama l’hard rock anche senza possedere troppi anni di militanza sul “groppone”.
Bravo Michael, ancora una volta un “racconto” davvero avvincente!
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