Io ho sempre amato
Ian Gillan. Ho amato la sua voce irraggiungibile, ma ho amato anche il suo essere sempre stato una persona genuina, trasparente, alla mano. Una persona che ha saputo reagire ai problemi che hanno trasformato la sua voce negli anni ’80, e ha sopperito al calo della stessa con tanto mestiere e tanta auto ironia. Ed è proprio questo suo non prendersi troppo sul serio che lo ha portato, diverse volte nel corso della sua lunghissima carriera, a tirar fuori progetti atti al puro e semplicissimo divertimento. È il caso anche del disco in questione di cui vi sto parlando.
Era il 1962, e l’allora giovanissimo
Ian entra in un gruppo chiamato
Javelins e inizia la sua gavetta nei fumosi club londinesi, con un repertorio che attinge a piene mani dal rock and roll degli anni precedenti. Nessun pezzo originale, soltanto cover portate in giro per intrattenere la gente. Dopo aver lasciato la band, forma insieme all’amico di sempre
Roger Glover gli Episode Six, per poi approdare ai Deep Purple nel 1969. Il resto è storia, e non penso di dovervi ricordare io come sono andate le cose.
2018: la band decide di tornare, in formazione originale, e riesce a coinvolgere anche il sempre disponibile singer, ormai settantatreenne e assolutamente lontano dal dover ancora dimostrare qualcosa. I suoi dischi incisi in oltre 50 anni di carriera parlano per lui. Il salto temporale è incredibile, e la band, coadiuvata anche da
Don Airey al pianoforte, si ritrova a suonare di nuovo quei brani, ormai diventati classici immortali, che suonava nel ’62, ed ecco così che via
EarMUSIC viene pubblicato "
Ian Gillan and The Javelins", registrato in soli cinque giorni ai Chameleon Studios di Amburgo.
Direi che è praticamente impossibile non amare questo album. Innanzitutto stiamo parlando di brani entrati di diritto nella storia del rock. Poi l’approccio di
Ian e dei suoi compari è talmente puro e genuino da non lasciare spazio a qualsivoglia tipo di polemica. E poi c’è lui, la voce rock per eccellenza, che a 73 anni suonati si muove assolutamente a suo agio tra brani blues, altri rock and roll, altri ancora rhythm & blues, toccando anche ambiti soul, e fa tutto in maniera egregia, come suo solito.
Non ci sono pretese dietro un progetto del genere, non si possono imbastire critiche negative, tutto quello che bisogna fare è premere play e lasciarsi travolgere dall’allegria dirompente dei brani e passare 44 minuti in assoluto relax.
Gillan gigioneggia alla grande e pone il suo inconfondibile sigillo a piccole perle come "
Do you love me", "
Save the last dance for me", "
Dream baby (how long must i dream)", "
Chains" o "
Mona (I need you baby)". C’è poi spazio per tanto rock and roll con le varie "
Memphis, Tennessee", "
Rock and roll music" e "
High school confidential", e anche per il blues di "
Smokestack lightnin'" e "
You’re gonna ruin me baby", ma al di là dei generi proposti è l’album nella sua interezza a piacere.
"
Ian Gillan and The Javelins" è un album che consiglio vivamente non solo ai fans sfegatati dei Deep Purple, ma a chiunque ami la buona musica suonata col cuore, senza interessi economici, senza pressioni delle case discografiche o di un contratto da rispettare. Per una volta, non prendetevi troppo sul serio e ascoltate il povero fesso che vi scrive, non ve ne pentirete…