Copertina 6

Info

Anno di uscita:2006
Durata:39 min.
Etichetta:Firebox
Distribuzione:Masterpiece

Tracklist

  1. LADY SOLITUDE
  2. EVERYONE TO PLEASE
  3. ROOM OF OUR EXISTENCE
  4. COMFORTABLE SILENCES
  5. THE CHASE
  6. DOMINOES
  7. WHERE LOVE HAS NO NAME
  8. THE RESIDENT
  9. BLOW OUT THE FLAME
  10. GO AWAY

Line up

  • Tomi: vocals, guitar
  • Topi: guitar
  • Sami: bass
  • Andy: drums

Voto medio utenti

All’inizio del millennio, nella piccola località di Seinajoki, Finlandia, il cantante/chitarrista Tomi decide di dare vita ai Velvetcut. Per oltre un anno l’iniziativa rimane una sorta di “one-man band”, poi con l’ingresso di altri elementi comincia ad assumere una forma più solida e definita. Dopo alcuni lavori brevi per piccole etichette locali e frequenti modifiche di line-up, finalmente lo scorso anno i Velvetcut trovano un assetto definitivo e si mettono al lavoro per un’album d’esordio, il presente “Thirteen” pubblicato da Firebox.
Il gruppo finnico adotta uno stile di tipo moderno che nasce dalla fusione di elementi rock, pop, grunge, metal, combinandoli in modo omogeneo ma senza rientrare pienamente in nessuno di tali generi. Una formula ibrida che si può accostare a quelle di nomi fortunati come Foo Fighter, Audioslave, Nickelback, Him o alla lontana perfino Queens of the Stone Age, tutta gente che deve il suo grande successo alla capacità di conquistare tanto il rocker di lungo corso quanto il distratto utente radiofonico.
Questa dovrebbe essere la meta anche dei Velvetcut, purtroppo però il risultato ottenuto da Tomi e soci appare fortemente acerbo al confronto dei big citati, assai scarso di mordente nelle parti aggressive e piuttosto monotono in quelle melodiche.
Un difetto molto evidente emerge dalla fase vocale, tutta impostata sulla medesima intonazione mesta ed addolorata che finisce inevitabilmente per annoiare. I brani hanno linee pulite ed essenziali e vengono diligentemente eseguiti, ma pagano la scarsa fantasia nelle soluzioni e nell’insieme trasmettono una sensazione di piattezza.
Dopo la partenza discretamente energica di “Lady solitude”, troppo spesso la band si rifugia nelle sfruttate atmosfere agrodolci, diventando ripetitiva e monocorde. Probabilmente l’idea era quella di azzeccare una semi-ballata vincente, del tipo che solletica l’interesse dei media specializzati nella musica rock adatta a tutti. In qualche caso i finnici si avvicinano alla meta sperata, ad esempio con la discreta “Room of our existence”, ma se consideriamo che questo settore strabocca di materiale del genere e lo consuma a velocità vertiginose, è facile intuire che senza il sostegno di una grossa operazione pubblicitaria le speranze di emergere grazie a canzoni solo di media qualità si riducono al lumicino.
Tanta buona volontà per i Velvetcut, ma se il quartetto scandinavo vuole davvero sfondare nel rock di facile consumo deve crescere parecchio sotto tutti gli aspetti.

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