Se un artista afferma di non riuscire ad etichettare la musica (pratica “esecrabile” e inevitabilmente approssimativa, ma purtroppo spesso inevitabile) contenuta nel suo nuovo disco, non sempre vuole fare lo snob e lasciar intendere, con tale affermazione, l’unicità della sua proposta, ma talvolta denuncia semplicemente l’effettiva impossibilità di riassumere con una classificazione cumulativa una summa di suggestioni musicali tangibilmente varie e policrome.
Sembra esserci dunque della sincerità (almeno molta di più di quanta ce ne fu ai tempi della sua “espulsione” dai Dream Theater, causata apparentemente da un approccio troppo hard rock, quando poi la sua prima creatura post Teatro Del Sogno, i Planet X, dimostrarono invece un’evidente vocazione progressiva!) nelle parole del buon Derek Sherinian, nel momento in cui sostiene che è per lui impossibile definire univocamente il contenuto di questo nuovo “Blood of the snake”, in cui coesistono, alla prova dei fatti, il prog, il metal, l’hard, il jazz-rock, la fusion, un pizzico d’influssi etnici e anche di sano divertimento, per non rendere troppo “serioso” e freddamente “colto” il risultato finale.
E’ chiaro che anche il fatto di poter contare su un numero così elevato di celebrità, nelle vesti di graditi ospiti, ha sicuramente contribuito a portare a galla e realizzare compiutamente tutte le passioni e le ascendenze musicali del fantasioso keyboard wizard statunitense e se i signori in questione si chiamano John Petrucci, Zakk Wylde, Yngwie Malmsteen, Simon Phillips, Tony Franklin, Brad Gillis, Brian Tichy, Billy Idol e Slash, diciamo che la qualità e la competenza esecutivo-interpretativa non è un aspetto che possa destare grosse preoccupazioni.
In “Czar of steel” inquiete progressioni metalliche s’intersecano con la fusion, con quest’ultima che viene riproposta in veste più autoctona nella virtuosistica vivacità di “Phantom shuffle” e nella notturna “On the moon”, mentre “Man with no name” rende tributo ai maestri Black Sabbath e all’Ozzy solista, anche grazie alla vocazione alla materia concessa da Mr. Wylde e “Been here before” esplora il lato più soffuso e immaginifico della complessa personalità di Sherinian (e di Brad Gillis, che, se non erro, si accolla l’onere della gestione della sei corde).
“Blood of the snake” irrompe con velleità che mescolano un certo gusto hard-rock, funambolismi chitarristici e inventiva prog-metal, un elevato coefficiente di perizia tecnica, associato a pesantezza metallica e volubilità dominano pure “The monsoon” e “Viking massacre”, laddove “Prelude to battle” evoca suggestivi paesaggi mediorientali e “In the summertime” chiude in maniera scanzonata e leggera, con questa cover di Mungo Jerry, qui cantata da Billy Idol (l’unico brano non esclusivamente strumentale, assieme a “Man with no name”) e caratterizzata pure dall’apporto di Slash, un dischetto schizofrenico, nevrotico a volte spiazzante negli accostamenti (il massimo viene raggiunto nel passaggio tra “Viking massacre” e “In the summertime”!), ma assai appetibile.
“Blood of the snake”, pur non essendo, probabilmente, proprio per questa sua mutevolezza, un Cd adatto a tutti i palati, cerca di svincolarsi da quella patina di nozionismo da “iniziati” che talvolta contraddistingue questo tipo di produzioni e anche se forse, dall’altro lato, c’è altresì un po’ di “cerchiobottismo” nei suoi solchi, deve essere considerato come un buon esempio della versatilità, dell’estro, del temperamento e del talento di un musicista dotato di cospicuo valore artistico complessivo.
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