Ci sono dischi che segnano indelebilmente il tuo percorso da
musicofilo, magari saldamente legato alla “tradizione” e tuttavia avido di novità e fiducioso nel fatto che una “rivoluzione” sia ancora possibile anche in un mondo “conservatore” come quello del
rock n’ roll.
“
The shape of punk to come” dei
Refused, geniale fin dalla sua denominazione (che evocava il manifesto del
jazz d’avanguardia firmato da
Ornette Coleman), ha rappresentato per il sottoscritto proprio una di quelle incisioni “nodali”: la sua inarrestabile forza espressiva, che mescolava con schizofrenica disinvoltura
punk,
metal,
hardcore,
noise, elettronica,
jazz e campionamenti, sembrava davvero in grado di sostenere il concetto che la sedizione sonora (e non solo, vista la sua feroce critica contro capitalismo e consumismo …) degli anni novanta (l’albo è del 1998, lo stesso anno in cui uscì l’esordio dei System of a Down e “
Follow the leader” dei Korn …) aveva trovato un altro grande protagonista.
A distanza di “qualche” anno da quell’epoca così vitale e creativa, possiamo tranquillamente affermare che non molte “promesse” sono state mantenute, e tra le numerose piccole “delusioni” mi sento di annoverare proprio i nostri svedesi, incapaci di dare un seguito (
Lyxzen continuerà a profferire le sue invettive con i validi e decisamente meno innovativi The International Noise Conspiracy) a quel capolavoro di passionalità, rabbia e imponderabilità.
L’idea che la decisione di porre fine a un progetto a cui si era dato tutto, consapevoli che non avrebbe potuto crescere ulteriormente, era comunque permeata da una sua condivisibile logica, servì a mitigare la suddetta frustrazione, ed è forse anche per questa ragione che avevo completamente ignorato la
reunion dei
Refused, concretizzatasi con “
Freedom” del 2015.
La curiosità è spesso più forte di tutto il resto e allora ecco che alla seconda tappa discografica successiva al loro “ritorno” sulle scene, mi vedo “costretto”, non senza una certa apprensione, ad affrontare l’ennesima lotta (impari) tra “memoria” e “realtà”.
E allora diciamo subito che “
War music” è un piacevole esempio di
punk-metal irrorato di
rock n’ roll, irruento, violento, abrasivo e tuttavia non privo dell’indispensabile apporto melodico.
Il problema è che a non esserci più sono l’audacia e la voglia di sperimentare, ed è proprio a quel senso abbastanza diffuso di linearità e “prevedibilità”, divergente dall’indole primigenia dei suoi autori, a non consentire all’opera di decollare, pur garantendo mezz’ora abbondante di coinvolgente e bellicosa critica sociale in note.
Abbandonato completamente il sussidio elettronico, il
modus operandi attuale dei
Refused si affida dunque essenzialmente alla tagliente concretezza delle chitarre, a sincopati assalti ritmici e al livore di una voce che non si arrende all’indifferenza e alla massificazione, all’interno di un programma che ha in “
REV001” un’apertura parecchio efficace e in “
I wanna watch the world burn”, “
Blood red” e nella strisciante “
Malfire” ostenta intriganti derive melodiche.
“
Turn the cross” e “
Damaged III” procurano importanti scosse emotive, non lontanissime dall’approccio di certi RATM e se “
Death in Vännäs” sorprende per il suo tocco al limite del
mainstream, a “
Economy of death” assegniamo la palma di brano più “diretto” della
track-list, dove nichilismo e aggressività si combinano in maniera lucida e istantanea.
Venuta meno quella formidabile anarchia artistica con cui i
Refused avevano incendiato la scena, non rimane che “sforzarsi” nell’accantonare ogni forma di nostalgia e illusione, e accoglierli per quello che sono oggi … un buon gruppo ancora capace di produrre un bel po’ di scosse sensoriali, di un tipo, però, tutt’altro che inedito e disorientante.