E’ un periodo di grande fermento per il genere doom, che continua imperterrito a rigenerarsi incurante dei profeti che lo dichiarano defunto da tempo. In attesa dell’imminente lavoro dell’ultima creatura di “Wino” Weinrich, the Hidden Hand, abbiamo valutato in un breve periodo numerose novità del settore, vedi Voodooshock, Shepherd, Sour Vein, The Sabians, Tummler, ed ora tocca ad una fresca produzione della label Ungherese Psychedoomelic, sempre più in ascesa: gli Statunitensi Orodruin.
Gli amanti di Tolkien avranno forse riconosciuto il nome, poiché è tratto dal suo famoso librone e viene tradotto come Mount Doom, certamente assai appropriato.
Gli Orodruin sono seguaci della scuola tradizionale di questo genere e si ispirano senza tante cerimonie ai gruppi fondamentali, tanto i Black Sabbath quanto St. Vitus, Trouble, Candelmass. Soprattutto l’impostazione vocale di Mike Puleo richiama quest’ultima band, nella scelta di un profilo estremamente pulito, teatralmente epico, che potrà forse lasciare perplessi coloro che prediligono vocals più sporche e dannate in questo genere di confine.
Dopo una breve e tetra introduzione d’organo veniamo catapultati nel mortale riff settantiano di “Peasants lament”, chiaramente debitore di Tony Iommi, ed il brano si sviluppa lento e tortuoso tra mid-tempo ombrosi e sospensioni tombali, con il contributo di qualche ficcante assolo. Da lì in poi è una sofferente discesa nel doom old-school, un immersione nell’oscurità tenebrosa, un greve procedere nel dolore dell’esistenza.
“Melancholia” avanza con la lentezza di un ghiacciaio e ne esprime la stessa raggelante consistenza, prossima ai Cathedral prima maniera epoca “Forest of equilibrium”. Verrà superata solo dalla sfibrante coda della title-track, amara e narcolettica nenia tastieristica. Interessante il lavoro della coppia Gallo / Tydelski sia nell’intenso rifferama melodico-granitico che nelle punteggiature solistiche in grado di valorizzare i brevi e saltuari passaggi leggermente più dinamici che irrobustiscono “Pierced by cruel winds” e “Burn the witch”.
In sostanza un album di puro doom nel segno della tradizione, nero come la pece, pesante come un macigno, lento come una lumaca, ma che proprio nel suo seguire in modo preciso le regole tracciate in passato, nulla aggiunge di nuovo ed alla fine risulta un po’scontato e anonimo.
Se proprio i Cathedral di “The VIIth coming” vi sono sembrati degli allegroni o i Las Cruces corrono troppo veloci, allora il debutto degli Orodruin è il disco che fa per voi.
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