Come ho avuto già modo di sottolineare in un’altra mia
recensione, nutro da tempo immemore una simpatia spiccata per gli
Assassin. Ho sempre considerato i loro primi due album, il secondo in particolare, due piccole grandi gemme di thrash teutonico, immeritatamente rimaste all’ombra delle uscite della Sacra Triade. Quando poi nel 2006 ho avuto modo di conoscerli di persona (ero nello staff organizzativo del loro concerto a Napoli), ho constatato che oltre che essere ottimi musicisti erano anche persone squisite, umilissimi e disponibili, il che ha aumentato la mia stima nei loro confronti. Ciò non toglie che, se dal vivo restavano devastanti (li avevo visti anche al Wacken del 2003), non ho accolto con molto entusiasmo “
The club, l’album del come back uscito nel 2005, davvero fiacco, poco ispirato e lontano anni luce dalla furia degli esordi. Di tutt’altra pasta “
Breaking the silence del 2011, con
Gonnella incazzato nero dietro il microfono. Dopodiché il patatrac, cambi di line up (con
Scholli, unico membro originale rimasto, che prende in mano le redini del gruppo), incertezze, e i nostri hanno smarrito di nuovo la via, pubblicando da allora soltanto un altro album nel 2016…
Passano altri quattro anni, nella band, che nel frattempo si è accasata presso la
Massacre Records, entra niente meno che
Frank Blackfire, eminenza grigia della scena thrash tedesca, visto che ha militato nei Kreator ed è da poco rientrato nei Sodom, e
Scholli dà alle stampe un nuovo capitolo, accompagnato dagli ormai fidi
Burn e
Ingo. La prima cosa che si nota ascoltando il disco è una fottuta e preponderante incazzatura! Non c’è respiro, non c’è tregua, il ritmo è serratissimo, così come il riffing, e
Ingo non è da meno, dando ai brani un tono maligno grazie al suo timbro decisamente più oscuro rispetto a quello del suo predecessore. La produzione è possente, soprattutto per quanto riguarda il suono delle chitarre, e pur essendo decisamente moderna, si sposa bene con lo stile old school dei nostri.
Sinceramente mi riesce difficile segnalarvi un brano anziché un altro, in quanto tutto “
Bestia immundis” (un titolo che è una dichiarazione d’intenti ben precisa…) è un mattone unico che va ascoltato tutto d’un fiato per lasciarsi annichilire dalla sua potenza. Forse l’opener “
The swamp thing” ha qualcosa in più per poter diventare un futuro punto fermo nella setlist dei concerti, con quel tocco hardcore che sotto palco farà sicuramente morti e feriti!
Se devo sottolineare qualcosa, direi che durante l’ascolto si nota poco l’apporto di
Blackfire, mi sarei aspettato qualche suo intervento più incisivo, specie in fase solista, invece così non è stato. Visto che il nostro è entrato nella band nel 2016, dubito che questa sua ‘mancanza’ sia dovuta al fatto che si è occupato di tutto
Scholli, penso piuttosto che abbia semplicemente deciso di restare un passo indietro volutamente, in quanto il sound generale dell’album punta, come già detto, molto sul wall of sound e non sui tecnicismi dei singoli.
“
Bestia immundis” forse non resterà negli annali del thrash metal, ma è un disco onesto, scritto e suonato da una band onesta, e per quanto mi riguarda già per questo motivo va premiato. Certo i fasti del passato, come spesso capita in queste occasioni, sono lontani, ma se paragoniamo il nuovo album alle ultime uscite in campo thrash, direi che può meritarsi tranquillamente un posto di primo piano in questo 2020 appena iniziato…