Veniamo a noi, se io dovessi fare un parallelo tra le ultime prove dell’ex chitarrista ex
Dictators e
Manowar con i suoi ex compari
Joey DeMaio,
Eric Adams e compagnia bella il confronto sarebbe impietoso.
Perché gli ex
Kings Of Metal ormai hanno il fiato cortissimo per mancanza d’idee, vedasi l’ultimo Ep recensito dal mitico
Frank proprio su
Metal. It e le ultime imbarazzanti esibizioni live a detta di chi li ha visti.
Mentre
Ross Friedman ovvero
Ross The Boss torna a distanza di due anni dalla precedente prova con l’ottimo “
Born Of Fire”; un disco di purissimo, incazzato, aggressivo ma con tanta melodia, heavy metal americano.
Basta vede l’attacco a palle incatenate dei primi due brani, “
Glory to the slain” e “
Fight the fight” sono due brani rocciosi, aggressivi di puro Us metal.
La band del nostro può contare su musicisti rodati ma soprattutto un cavallo di razza come il singer
Marc Lopes; un cantante che passa agevolmente da toni aggressivi ad un timbro pulito e pieno di pathos fino a tirare fuori potentissimi acuti.
“
Maiden of shadows”, è una cavalcata epic metal sorretta da grandi melodie di chitarra e orchestrazioni.
Brano che è impossibile non amare; l’impatto e la prova dei nostri è magistrale con un chorus che dal vivo farà sfracelli; il solo di
Friedman è bollente.
La titletrack sembra occhieggiare al thrash metal con i riff che sono serratissimi e brucianti; up tempo aggressivo con un ritornello invece aperto e melodico con sottofondo orchestrale.
Questo connubbio aggressività e aperture intense di buonissima qualità melodica sono una bella carta da giocare, il singer poi fa un figurone scartavetrando l’ugola.
“
Godkiller” è un’arrembante cavalcata epica; anche qui i riff di chitarra sono di puro heavy metal con un qualcosa di priestiano in sottofondo.
Il chorus è pieno con acuti e cori sparati a mille; la marcia è aggressiva, epica e con un solo favoloso.
Ecco, con “
Waking the moon” non ti aspetteresti mai che la band viri su un giro blues ciondolante ma ipervitaminizzato, eppure lo fa.
Brano vigoroso con una carica heavy sulfurea e anima blues n’ roll che si nota a ogni accordo con una vigorosa spinta nella cavalcata finale.
Uno dei brani migliori del disco è la sabbathiana “
The blackest heart”; inizio lento, inquietante con il suono sfrigolante di un vecchio vinile che gira e un piano che poi esplode in un accordo iommiano da brividi.
Un gran bel ritorno, certo qualche filler c’è, ma posso dire che la carne al fuoco è tanta; chi ha fame di sonorità dure, heavy metal e senza compromessi lo faccia suo, buy!