Non è in discussione la buona volontà dei connazionali
Antena White Opera, è sul risultato finale che è opportuno fare alcune considerazioni.
Giunti al secondo capitolo discografico con
“Ouroboros”, il trio ora formato da
Davide Piombino, Lorenzo Armagno e
Paola Criscione ha dalla sua un’ottima conoscenza delle fonti -
Dream Theater in primis - ma ancora qualche difficoltà nel personalizzarle e nell’amalgamarle, forse anche a causa di una produzione non sempre impeccabile (la voce spesso suona “scollata” dal resto degli strumenti, così come la sezione ritmica e le tastiere, a tratti troppo “digital”).
Ci sono buoni arrangiamenti sinfonici/apocalittici (
“Obsidian”, la titletrack), omaggi piuttosto evidenti al sopraccitato quintetto di New York (
“Pile Of Boulders”, “Infinite Labryrinth”), concessioni più moderne e cinematografiche (l’ottima
“Carnage” sa di
Haken e
Periphery), alcune inaspettate deviazioni (
“Life Expectancy”, con il pianoforte in evidenza, rievoca
Michael Nyman e
Philip Glass) e una prevedibile incursione in territori tipicamente
female-fronted (la conclusiva
“It Ends Like Everything Starts”, che strizza l’occhio a
Within Temptation ed
Evanescence).
Ma raramente scorre tutto liscio (penso in particolare a
“Descent” e
“The Great Wall”), e il continuo alternarsi di atmosfere fragorose e momenti più rarefatti alla lunga stanca, appesantendo un concept che
“vi accompagnerà alla scoperta dell'infinito e dell'eternità che regna sopra ogni cosa” non senza difficoltà.
Voto all’ambizione e alla determinazione, oltre che d’incoraggiamento.
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