Album di esordio per i britannici
Godthrymm, nati intorno al 2015 su iniziativa di due veterani della scena doom-metal internazionale: il chitarrista/cantante
Hamish Glencross (già con My Dying Bride, Solstice, Vallenfyre) ed il batterista
Shaun Taylor-Steels (My Dying Bride, Anathema). Dopo alcuni Ep, ben accolti da critica e appassionati, adesso è tempo del primo lavoro su lunga distanza, "
Reflections" pubblicato da
Profound Lore Records.
Visti i precedenti di questi musicisti, non c'è da stupirsi se questo disco è profondamente devoto al doom più pachidermico e tombale, circondato da un'atmosfera drammatica e pensosa, gravida di suggestioni epico-cimiteriali. Passo costantemente lento e solenne come una marcia funebre dedicata ad antichi dei pagani, riff post-sabbathiani intinti nel metallo più denso, vocals ieratiche e cavernose, ci conducono in un reame di oscurità abissale dove regna soltanto la sofferenza e l'abbandono ad un fato inesorabile. Un sound elegante e feroce al tempo stesso, una sorta di Candlemass depressivi e rallentati che ci conducono verso tenebre insondabili e prive di vie d'uscita.
Nell'iniziale "
Monsters lurk herein" c'è già tutto quello che occorre sapere sul trio inglese: lentezza solenne, riff lugubri, vocals poderose e drammatiche (qui addolcite dalla presenza di un controcanto femminile), atmosfera tragica e struggente, vibrazioni melodic-doom cariche di malinconia ed abbandono. Gran brano di elevata qualità. "
Among the exalted" gioca sul contrasto tra gli aspetti melodici strumentali e le vocals feroci e sferzanti. Schema ripetuto più volte nel corso del lavoro.
Ecco, se c'è un appunto che si può fare ai
Godthrymm è proprio una certa staticità della proposta. I brani risultano tutti abbastanza simili, ed essendo uno stile già abbastanza monocromatico di per se stesso, alla fine il tutto diventa abbastanza pesante e di non facile fruizione. Pezzi come "
The sea as my grave" o "
Cursed are the many", lumacheschi e monolitici, richiamano tanto i My Dying Bride quanto i Type 0 Negative per quella incombente sensazione di fine imminente, di decadimento inarrestabile e terminale. Per apprezzare questa musica occorre davvero lasciarsi avvolgere, quasi cullare, dalle note grevi, plumbee, della chitarra di
Glencross e dalle ritmiche narcolettiche della coppia
Crolla/Taylor-Steel, come attraverso il passaggio di un evento luttuoso ed irrimediabile, foriero di emozioni dolorose e strazianti. La morte è l'unico destino che ci accomuna tutti.
La prova è di buon livello, ma fortemente legata ad un sottogenere specifico e non adatto a tutti. Quindi disco consigliato solo agli amanti del doom più criptico e monotematico.
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