Piaceranno, i
We Sell The Dead, a chi ama Black Sabbath, Rainbow, Dio, Jorn e perché no anche a chi apprezza i Ghost, da cui mutuano una certa “scaltrezza” e modernità nel trattare temi classici.
Piaceranno, perché hanno i mezzi tecnici e l’esperienza necessaria per omaggiare la tradizione con buongusto e scelte melodiche sempre piuttosto azzeccate e coinvolgenti.
Non sorprende, quindi, apprendere che dietro al ferale
monicker si celino
Niclas Engelin (In Flames, Engel),
Jonas Slättung (Drömriket),
Oscar Nilsson (Engel, sostituto dell’ex-HIM
Gas Lipstick, che aveva suonato nell’esordio della
band “
Heaven doesn`t want you and hell is full”) e
Apollo Papathanasio (Firewind, Spiritual Beggars, …), tutta gente sicuramente all’altezza della situazione, con in testa una voce chiamata a sostenere un’eredità tutt’altro che agevole.
Ebbene, non scopriamo certo oggi le capacità di
Papathanasio, un
vocalist che si erge a vero protagonista di questo “
Black sleep”, un piccolo trattato di
dark-metal liturgico e malinconico, capace di scandire fraseggi ad ampio respiro, intrisi di ossianica magniloquenza.
Supportata dal monito di vivere la vita in maniera piena prima che accada l’irreparabile, l’opera evita di soffocare l’astante con sonorità opprimenti e, come anticipato, propone una formula musicale in cui l’enfasi drammatica appare più elegiaca che perniciosa, pur non escludendo frammenti poderosi e impetuosi, come accade in “
Hour of the wolf” e “
River in your blood”.
Altrove, per esempio nel crescendo acustico di “
Caravan”, nelle brumose ballate “
Carved in stone” e “
The light“ o ancora nel
gothic-slow conclusivo “
Shallow grave”, la caligine diventa visionaria e meditativa, mentre in “
Across the water” le atmosfere armoniche appaiono più dirette e “radiofoniche”, scatenando, probabilmente, il disappunto dei puristi del genere.
La
title-track è un piacevole omaggio all’inossidabile diarchia Deep Purple / Rainbow, e se “
Nightmare and dream” riesce a essere al contempo sinistra, vaporosa e contagiosa, “
Scars in my heart” esaurisce le annotazioni sui contenuti dell’albo con un altro bel
mix di fosche pulsazioni soniche tra
seventies ed
eighties.
Una patina di sottile manierismo m’impedisce di esaltarmi oltremodo di fronte al pur pregevole lavoro dei
We Sell The Dead, un gruppo che tuttavia credo sia destinato, qualora non si fosse capito, ad accogliere riscontri ampiamente positivi.
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