Ultimamente la scena Black Metal di matrice polacca sta attraversando un ottimo periodo di forma e fecondità artistica, grazie alle “nuove” realtà come i sempre citati Mgla, ma anche Blaze of Perdition o Cultes des Ghoules. Questo fermento creativo sembra stia colpendo anche realtà sempre più nascoste: ci troviamo a trattare l’esordio di
Thurthul, “
Fury of ancient race”, che dopo un EP di rodaggio si affaccia sulla scena musicale con il primo album tout court. Il lavoro, composto da sei brani, dà il meglio nella parte centrale, dove stacca fra tutte l’unico pezzo al di sotto dei 5 minuti, che addirittura non supera i 3, ed è la title track. Ad un primo sguardo il sottoscritto ha sottovalutato questo brano, pensando fosse il classico interludio che spezza in due l’album, e in un certo senso (per lo meno nelle intenzioni di chi lo ha composto) lo è. Perché oltre al già citato ridotto minutaggio, questo episodio del disco si fa notare come quello sicuramente più convincente, esplosivo e trascinante, che ricorda molto le sensazioni degli Emperor di “In the Nightside eclipse”. “Da un paragone così ci dovremo aspettare un capolavoro” penserà il lettore, ma purtroppo non è così. In realtà questo brano rappresenta uno stacco repentino (e molto gradito) da una generale leggera, seppur presente, monotonia della composizione, che in fin dei conti non varia granché nello stacco da prima a dopo questa traccia; restando così uno sprazzo di creatività quasi fuori dal quadro generale. In ogni caso il lavoro non è assolutamente da buttare, anzi: in “
Warriors” scopriamo un ottimo riff principale (leggermente dissonante, ma al punto giusto da rimanere piacevolmente “malato”) e una buona evoluzione del brano, che sa alternare momenti più cadenzati ed altri più violenti, calando l’ascoltatore molto bene all’interno del clima psicologico cercato dall’artista. Altro episodio positivo della composizione è la sesta traccia, “
They shall perish”, caratterizzata da un’ottima dinamica e da significative prestazioni in ambito vocale e ritmico del nostro one-man band
Grief.
In generale un buon lavoro, che però rende i suoi migliori passaggi vittime dei suoi elementi più stagnanti. Questi portano a diluire il giudizio complessivo, inficiato anche dall’inserimento di un brano che risulta ottimo, ma rimane un unicum compositivo nella cornice creativa dell’album, come se fosse stato aggiunto a lavoro concluso, e avulso quindi dal contesto.
A cura di Manuele Marconi
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?