Confesso che gli
Ivanhoe li avevo proprio persi di vista da almeno 10-15 anni, vuoi perché nel frattempo mi sono dedicato ad altri sottogeneri che hanno ampliato ulteriormente la mia visione metallica, vuoi perchè in questo periodo sono fiorite nuove gemme in campo progressive e vuoi anche perchè, diciamoci la verità, in tale lasso temporale la band tedesca ha sfornato dischi abbastanza deludenti, assai lontani dai fasti degli anni 90. Di loro ricordo con affetto e nostalgia al tempo stesso lavori come Visions And Relity (1994) e Symbols Of Time (1995), che rimangono senza alcun dubbio i loro album migliori, certo va ricordato anche, che quelli erano tempi d’oro per il prog metal, poi un lento ma costante declino che li ha allontanati dal cuore e dalla memoria di molti (me compreso).
Oggi i nostri tornano con questo
Blood and Gold che, diciamolo subito, è veramente un bel lavoro, fresco ed ispirato come non accadeva da parecchio, un disco in cui gli
Ivanhoe sembrano finalmente superare le palesi difficoltà compositive degli ultimi album, recuperando certe sonorità che ormai sembravano morte e sepolte, senza tuttavia rinunciare all’incisività del sound, e le iniziali
Midnight Bite e
Broken Mirror mettono subito in chiaro questo perfetto bilanciamento tra eleganza e sostanza.
Anche gli episodi meno heavy, e quindi più riflessivi, tutto sommato sembrano riuscire, mi riferisco chiaramente alla breve ma intensa
Fe Infinita e soprattutto alla struggente
If I Never Sing Another Song che, pur partendo timidamente, successivamente cresce in maniera esponenziale, fino a lasciarsi andare ad un profondo e tragico refrain che lascia il segno, peccato solo per quella base ritmica registrata che avrebbe dovuto fungere probabilmente "da atmosfera", ma che invece risulta alquanto inopportuna.
L’essenza 90's del progressive metal riaffiora prepotentemente in tutta la sua bellezza in tracce come la malinconica
Solace , caratterizzata da riffs chitarristi graffianti, o l’elegante
Shadow Play, in cui compare anche un assolo di sax (e qui il collegamento con gli anni 90 è immediato e va ovviamente a Another Day dei Dream Theater), pezzi in cui melodia, tecnica ed aggressività convivono in perfetta sintonia.
Degne di nota anche la possente
Martyrium, la title track e la conclusiva
Perfect Tragedy, epilogo azzeccatissimo per un disco che, pur non essendo ai livelli qualitativi che i nostri avevano raggiunto negli anni 90, farà felici tantissimi nostalgici di quell’età dell’oro del prog metal.