A distanza di ben undici anni dal primo vagito
“Into The Void” , un Ep che ci mostrava un gruppo molto acerbo, alla normale ricerca della propria via musicale, fa il suo esordio su lunga distanza una delle band più interessanti, se non la migliore, che il panorama black metal ha sfornato ultimamente.
Nawaharjan (dall’unione delle due parole del proto-germanico “Nawaz” – cadavere - e “Harjaz/Harjan - esercito) è un 4 pieces di totale intensità e distruzione, animato da uno spirito “religioso-praticante” che non ha eguali e che li pone, dal punto di vista lirico, sulla stessa lunghezza d’onda della one man band
Arckanum (alla quale andrebbe dedicata un’approfondita rivisitazione storico/musicale data l’incredibile originale genialità) visto che la band aderisce alla dottrina thursatrana (una “nuova” religione figlia dell’antica mitologia Scandinava con una forte connessione al Satanismo anti-cosmico e all’Agnosticismo del sentiero della mano sinistra). Dal punto di vista musicale, ci troviamo di fronte ad un black metal moderno, tagliente, melodico ed aggressivo, che riporta ad una buona commistione tra i giustamente lodati
Mgla e i
Watain pre
“The Wild Hunt” (svolta che ancora non ho digerito personalmente). Da quest’unione ne vengono fuori dei pezzi lunghi e articolati, sorretti da chitarre incalzanti che tritano riff senza pietà (
“Maino (Intention)” per esempio) su una base ritmica che non si vergogna di pestare duro e in your face (l’attacco di
“Utfursko (Exploration)” dovrebbe bastare a farvi capire di che macchina da guerra parliamo), ma che allo stesso tempo sa essere varia, potente e fantasiosa come nei terrificanti 9’ di
“Skuwwe (Reflection)" dove oltre le già citate qualità, troviamo anche un ottimo solos sul finale. Su tutto ciò si staglia la voce del chitarrista cantante
Skandaz (già visto all’opera in sede live con
Acherontas) che si discosta molto dal classico screaming black, preferendo un timbro più “pulito” , assolutamente vario, che riesce a passare dalle maledizioni declamatorie di
“Sunjo (Realization)” ad un’interpretazione più “shamanica/ritualistica/declamatoria” in
“Umbibrautiniz (Transformation)” fornendo così un lavoro incredibilmente emozionale, intenso ed originale che lo erge a plus di tutta la band, riuscendo a sottolineare ed esaltare ancor di più la nerissima proposta musicale.
“Lokabrenna” è la conferma che il black metal rimane il genere estremo, e non solo, che più di ogni altro si sa evolvere, riciclare e reinventare grazie ad un’attitudine musicale-spiritualistica-religiosa che gli permette ogni volta di superarsi. Anime nere avete di che gioire …