Si sa … al giorno d’oggi, con il mondo della discografia in evidente crisi e una miriade di possibilità d’ascolto offerte a
musicofili non sempre adeguatamente curiosi e attenti, spessissimo non è più sufficiente essere bravi per farsi notare.
L’impressione è che ci sia bisogno di qualcosa di “diverso” … oltre all’indispensabile fortuna, magari un’immagine “giusta”, relazioni celebri e turbolente, atteggiamenti “sopra le righe” o chissà cos’altro.
Ebbene, non credo che
Martin Punsch e i suoi
Marty And The Bad Punch possiedano le peculiarità “al contorno” necessarie per catalizzare l’attenzione nelle effimere convulsioni del terzo millennio, e ciononostante il buon successo ottenuto dal loro debutto “
Moon over Baskerville” permette di affrontare il nuovo, “
Walk a straight line” (un doppio
album, nientemeno …) con l’incoraggiante (utopico?) pensiero che trattare con competenza e sensibilità una materia musicale, per di più non particolarmente
trendy, possa ancora essere una scelta vincente.
Stiamo parlando di una forma di vellutato
rock “adulto” contraddistinto da sfumature
country,
pop e
southern, sviluppata attraverso un
songwriting sempre piuttosto calibrato, confortevole e affabile, capace di gestire con abilità l’inevitabile affioramento di qualche
cliché.
La chitarra fluida di
Marty (un tedesco che, per come suona, deve avere talune discendenze
yankee …) si combina perfettamente con la voce pastosa di
David Cagle (
JK Northrup), con le preziose tastiere di
Robert Karasek e con una sezione ritmica poco appariscente ma efficace, il tutto puntellato da alcuni prestigiosi ospiti del calibro di
Tommy Denander,
Frank Pané (Bonfire) e
Bruce Kulick (ex-Kiss, Grand Funk Railroad, …).
Ne scaturisce un lavoro da consigliare agli estimatori di Little River Band, REO Speedwagon, Bryan Adams, 38 Special e del
John Waite solista, un elenco a cui si potrebbe aggiungere pure lo
Steven Tyler di “
We’re all somebody from somewhere”.
All’interno di un programma corposo (forse pure un po’ troppo …) e assai ricco di passionalità, mi limito a segnalare l’
AOR di classe della
title-track dell’opera (presente anche in una simpatica versione
making of, posta a chiusura del disco …), di “
Universe”, “
My demons”, “
Standing on the edge” e “
Zakopane”, ottimamente integrate con le evocative ambientazioni
rootsy di “
Glass mountain”, “
The last song”, “
Say hi to Eileen” (potrebbe piacere persino ai
fans di
Kid Rock …) e “
Raging fire”, a comporre un’eloquente campionario delle capacità espressive, suggestive e accoglienti, di cui è dotato “
Walk a straight line”.
Nella speranza che la promettente parabola artistica di
Marty And The Bad Punch possa conservare un’adeguata considerazione, tale da consentire una sua ulteriore evoluzione, ai nostri recapito altresì un grosso in bocca al lupo, perché, come anticipato all’inizio della disamina, indipendentemente da ogni altra valutazione di merito, della buona sorte si ha sempre un gran bisogno.