Quando ero adolescente, avevo un caro amico che mi faceva una testa così perché era un fanatico di epic metal.
Ogni volta che andavo in macchina con lui, stereo a palla, mi faceva appassionatamente la monografia della band che avevamo come colonna sonora; tra questi suoi miti c’erano anche gli americani
Cirith Ungol.
Devo dire che crescendo, quel mio amico su una cosa aveva ragione, la band statunitense era grande.
Una band che è pura storia del genere duro, epico e guerriero; una band che nonostante il riferimento tolkeniano nel nome, non ha preso a piene mani dal tranquillo professore oxfordiano, e non si è ispirata solo sul “solito”
Conan.
I nostri hanno scelto un autore originale, creatore di una saga fantasy, drammatica e cupa, il suo nome è
Michael Moorcock; l’autore della saga di
Elric e della sua mitica spada, che noi conosciamo grazie a mitiche case editrici come
Fanucci, Nord e tante altre.
Ora dopo ben 29 anni di attesa questa affinità elettiva tra musica e narrativa è tornata; devo ammettere che pensavo che la band fosse arrugginita un pochino dopo tanto tempo e invece sono felice di essermi sbagliato.
L’intro “
The call”, ovvero la chiamata già fa salire l’attenzione con un arpeggio elettrico e rullante che fa da preludio al brano d’apertura.
“
Legions arise”, a mio modesto parere è uno degli assi che la band originaria della California mette sul piatto.
Brano roccioso, selvaggio; cavalcata epica che riprende il riff dell’introduzione con la voce del singer
Tim Baker che urla e aggredisce con i cori che danno ancora più impatto; il solos è semplicemente spettacolare.
“
The frost monstreme”, ha un riff che è puro epic metal; brano anthemico, roccioso con la sezione ritmica che è un tutt'uno con le chitarre.
Scenario cupo che il singer dipinge bene con il chorus, la marcia rallenta prima dell’accelerazione con un riff sabbathiano e un solos hard bruciante; sul finale il brano accellera ancora concludendosi con rullate piene e dirette.
“
The fire divine”, è un brano dal riff classico, il tempo è incalzante con quel sapore heavy metal primigenio.
Devo dire che il chorus entra in testa dopo pochi ascolti ed il solo è pieno e melodico, perché la band non si scorda mai di questo aspetto.
Altro capolavoro secondo me è il brano “
Stormbringer”; inizio acustico arpeggiato col cantato del singer pieno ed evocativo per poi elettrificarsi e diventare un lento epico.
La sensazione di cupezza doom della canzone è palpabile, il pathos è percepibile soprattutto nel chorus urlato con i cori in sottofondo.
Il brano dedicato alla mitica spada brandita da
Elric di Melniboné è ben fatto, drammatico, cupo e fiero.
“
Before tomorrow”, è l’ennesima prova che per essere metal non occorre pestare come ossessi; il brano è pesante, quadrato e ricco di emozione.
I riffing qui costruiti sono serrati, ricchi di quell’epicità che ha sempre contraddistinto gli americani e il solo è da pelle d’oca.
L’arcigna titletrack è per certi versi minacciosa, con un sapore iommiano in questa cavalcata lenta ma ricca di emozione.
Il chorus è evocativo, iroso e non demorde dal sentiero cupo ed oscuro che pervade tutto il disco; sul finale il brano accellera in un up tempo dove il buon
Tim ringhia il titolo ed io con lui, gagliardo!
Ragazzi miei, se in passato la band ha purtroppo raccolto poco di quello che ha seminato, con questo disco si riprende tutto con gli interessi; un disco intenso, personale e ricco di sfumature oscure, per me è Top Album dell’anno.