Era dal 1989 che non sentivo più parlare dei californiani Shark Island, anno in cui, con un disco dal titolo “Law of the order” (contenente pure una rilettura di “The Chain” dei Fleetwood Mac) pubblicato dalla major Epic Records, conquistavano discreta fama e successo, mettendo finalmente a frutto tutti quegli anni di gavetta che avevano garantito al gruppo una notevole considerazione nella scena locale (pare che tra i loro fans più celebri ci fossero Motley Crue e Ratt e che anche membri dei Guns n’ Roses siano stati individuati tra il pubblico durante le loro infuocate esibizioni dal vivo).
“Gathering of the faithful” è il risultato di un altro “inaspettato” rientro nel music biz, il quale si compie attorno ai componenti originali Richard Black, Spencer Sercombe e Christian Heilmann, con l’innesto del nuovo drummer Glenn Sobel (Beautiful Creatures, Impellitteri, Ken Tamplin, …) e ci riconsegna una band di hard rock pesantemente “toccata” dal soffio vitale del blues, che talvolta si lascia irretire da una tenue indole sleaze e riveste le sue composizioni con uno spiccato gusto melodico, manifestando una caratterizzazione complessiva che li può far approssimare ad una miscela di Great White e Bad Company (comprendendo in parte anche il loro periodo più “adulto”), assemblata con dosaggi avveduti e capace al tempo stesso di esprimere un feeling sincero e naturale.
A dire la verità l’ascolto dell’anonima opener “Blue skies” (appena “caruccia”), non mi aveva particolarmente impressionato, ma fortunatamente arrivano “Tomorrow's child”, “The stranger”, “Down to the ground”, “Temptation”, i bagliori Zeppelin-esque di “Life goes on” o ancora i gioiellini “Heaven” e “Will to power”, completati dalla pulsante e notturna “Need your love” e da una “I had a dream”, che esplora il lato acustico e orchestrale del rock ‘n’ blues, a comprovare che la bella voce di Black, dai registri che sanno essere sia adeguatamente “granulosi” e “macho”, sia morbidi e passionali (mi ricorda a sprazzi l’orientamento vocale di un Gary Barden), non è un semplice attributo fine a sé stesso e si amalgama splendidamente con partiture dense di calore, pathos ed espressività, aspetti fondamentali per chiunque voglia cimentarsi con l’hard-blues, uno stile musicale che vive proprio di tali “condiciones sine qua non” per la sua migliore e più autentica esibizione.
Anche sul versante più classy ed AOR-roso, gli Shark Island sanno piazzare buonissimi colpi, estrinsecati nella celebrazione sentimentale di “Welcome goodbye” e “Looking for the sun” o facendo ancor meglio nella vivace melodia incredibilmente adescante di “Go west”, palesando, in questa maniera, un’istintiva vocazione anche nei confronti di queste sonorità raffinate, contraddistinte da importanti velleità di elegante e soffice “prestanza”.
La particolare razza di pesce predatore che dà il nome a quest’isola, si è risvegliato dopo un lungo periodo di letargo, è affamato e non vede l’ora di affondare la sua dentatura nel tessuto dell’apparato uditivo dei tifosi del genere … le acque in cui si muove sono sempre più affollate e la concorrenza di “cacciatori” più o meno agguerriti (e soprattutto non sempre così meritevoli), appare una questione parecchio problematica da fronteggiare … a Voi la scelta se rendervi disponibili per questo “vecchio” squalo; io quando l’ho fatto ne ho ricavato veramente delle buonissime sensazioni e quindi non posso che consigliarvi di fare lo stesso, per impedirgli di ritornare, deluso dall’accoglienza, ad un nuovo “sonno” che ci priverebbe di un ottimo rappresentante del settore.
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