I
Molasses Barge di Pittsburgh, Pennsylvania, sono in circolazione dal 2008 ma finora avevano realizzato solo un paio di Ep autoprodotti ed un album omonimo usciro nel 2017 per la piccola etichetta indipendente Blackseed Records. Da poco hanno firmato per la nostra
Argonauta, che pubblica il loro secondo lavoro "
A grayer dawn".
Heavy southern doom rock è la definizione che meglio inquadra il sound del quintetto americano: uno stile denso e muscolare, roccioso e dotato di buon groove stonerizzato, capace di usare le maniere forti ma anche di avvolgere l'ascoltatore in trame più spiraleggianti e sabbathiane.
Ad esempio una traccia come "
Black wings unfurl" tende ad un doom quasi Candlemass-iano, cupo e metallico come acciaio colloso, mentre brani come "
The snake" o "
A grayer dawn" trasmettono maggiormente l'atmosfera paludosa del south-stoner di Alabama Thunderpussy, Dixie Witch, Corrosion of Conformity, per il caratteristico tiro massiccio, pastoso, energico ma pur sempre torvo e brumoso. La band americana adotta un profilo diretto e non particolarmente complesso o sofisticato. Episodi quali "
Desert discord" e "
Distant" sono potenti e semplici heavy rock con una pennellata doomy nelle melodie, niente di stravolgente ma ben suonati e con la fiera voce di
Brian Balich a guidare il resto della truppa. Più classicamente epic-doom la seriose e funeree "
Control letting go" e "
Holding Patterns", sul genere Pallbearer, Monolord, Crux, a testimonianza che l'impostazione pesante e sabbathiana è quella prevalente nello spettro stilistico dei ragazzi di Pittsburgh.
Album discreto, non eccelso. Solido e con alcuni buoni momenti, ma con una personalità ed originalità ancora in divenire. Per il momento, i
Molasses Barge rientrano nella media del settore, vedremo in futuro.
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