I tedeschi
The Hirsch Effekt cantano in tedesco ma hanno deciso di intitolare la canzoni di questo “
Kollaps” con titoli in svedese in omaggio a
Greta Thunberg, l’attivista svedese per i diritti ambientali.
Pur amando gente come
Dillinger Escape Plan e
Between The Buried And Me, e il loro sound iper-tecnico e assolutamente non convenzionale, cosa che questi
The Hirsch Effekt cercano di riprodurre, bisogna cercare di capirsi un attimo.
Va bene fare canzoni come dicevo tecniche, con diecimila cambi di tempo e di ritmo, con rallentamenti e accelerazioni, ma quando ciò scade nel puro esibizionismo si perde il senso della cosiddetta forma canzone, che si riduce a un’esibizione di “
quanto sono figo e quanto sono bravo”, perdendo di vista il concetto fondamentale secondo il quale la tecnica è al servizio del feeling e quando si parla di math/postcore, il feeling è impatto, brutalità, è l’implosione della testa dell’ascoltatore per collasso delle sue strutture portanti, più che la sua esplosione per mal di testa.
I tedesconi nostri fanno questo errore, si preoccupano di suonare come professori di accademia, e ci inviano anche una lunga
info sheet per spiegarci genesi e segreti di ogni canzone, ma perdono di vista l’impatto, anche per colpa di un cantato che quasi mai si esprime con voce pesante, ma è sovente affidata o una ridicolo screaming che, per carità, ci sta pure, oppure ad una voce pulita che, unita all’idioma tedesco, è solamente che triste e mal si sposa con le composizioni, sovente mandandole in vacca.
Ed è così che i quasi 50 minuti del disco diventano una rottura infinita di coglioni e bisogna aspettare un brano come “
Torka”, con influenze elettroniche e un’atmosfera quasi notturna, per vedere un po’ di luce in fondo al tunnel, e la successiva “
Bilen” con una voce più incazzata.
In generale si ha l’impressione che la band voglia strafare, con troppa, ma veramente troppa, carne al fuoco.
E quindi, oltre tutto quanto già detto, ci infilano dentro parti rap, come in “
Noja”, qua e la sprazzi di shoegaze, come nella pur buona title-track, atmosfere sognanti e melanconiche, ritmiche chiaramente meshugghiane, come in “
Deklaration”, eccetera.
Ed è un dannato peccato, perché quando hai le qualità e le capacità e non le sfrutti sei come quel grande numero 10 (trovate voi un nome che vi aggradi in base al colore della vostra maglia) che ha un talento e dei numeri pazzeschi ma invece di metterli al servizio della squadra per vincere li disperde in numeri da foca a centrocampo.
Questa è la mia sensazione su questo disco, non è detto che sia esatta, e non è detto che il mio giudizio sia quello giusto, e può pure essere che io non ci abbia capito una beneamata mazza, ma di una cosa sono certo, ho ascoltato questo disco tre volte di fila e non mi ha lasciato niente. Niente.
Ps. Sto ritrovando il coraggio di una volta, quando anche dischi stilisticamente perfetti prendevano 3. Ma oggi non me la sento.
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