Kari Rueslatten ne ha fatta di strada da quando era semplicemente la frontwoman dei
Third And The Mortal, una strada fatta di una carriera solista lunga e ricca di riconoscimenti.
Il nuovo “
Sørgekåpe” ha come principale caratteristica quello di essere cantato in norvegese, lingua che la nostra eroina aveva usato solo sul disco di debutto, “
Spindelsinn” del 1997.
Nel 2020 la musica di Kari è, come ovvio, improntata sulla propria voce, la quale, nel corso degli anni, si è sempre meno abbandonata ai virtuosismi in favore di una maggiore capacità interpretativa.
Oggi Kari con la sua voce vuole raccontare e la conseguenza è che la sua musica è più folk che mai, anche se questa deriva
volkisch non si bea di strumenti tradizionali della sua terra natia, quanto della sua natura selvaggia. Kari ci racconta la sua terra, che non è solo la “
grim & frostbitten land” del truculento black metal, ma è una terra bellissima, ai confini del mondo, e non è un caso che questo disco sia stato prodotto e registrato in una baita trasformata in studio di registrazione sulle maestose montagne di
Nordmøre, nel centro della Norvegia.
La musica di Kari è però moderna, in questo senso molto pop, anche se è un popolare raffinato, colto, che punta sulle atmosfere, con arrangiamenti minimali, dall’anima ‘acustica’.
Nel tentativo di raccontare i diversi umori del disco, ritengo opportuno un
track by track:
1. “Sørgekåpe”: la title-track è il primo singolo estratto dal disco ed è una canzone dal mood notturno, crepuscolare, pervasa per intero da una sottile tensione.2. “Svever”: si pone all’opposto della canzone precedente, è una sorta di oasi felice, con un andamento più ritmato e oserei dire quasi allegro. È forse il pezzo migliore dell’album, o quantomeno uno dei miei preferiti. Un pezzo dall’anima pop, con certe reminiscenze di Alanis Morrisette, e che grazie ad una melodia e un arrangiamento molto moderni potrebbe sfondare in classifica se degnamente supportato.3. “Månen Lyser Ned”: la voce di Kari diventa poetica, su una melodia non banale, sospesa tra istanze oniriche e riverberi di oscurità, squarciati da riflessi lunari. Non a caso il titolo dovrebbe significare, se il traduttore di google non mi inganna, “La luna si illumina”. Bellissima.4. “Når Mørket Faller”: ci sono gli archi, gli arpeggi di chitarra, l’atmosfera è rarefatta, e la voce di Kari diventa quasi sciamanica, ipnotica, mesmerizzante, trascinando l’ascoltatore in un reame sognante.5. “Blind”: questa volta il protagonista è il piano, che entra con una melodia che ci porta ai confini tra malinconia e nostalgia, vengono i brividi, gli archi distillano istanti di memoria che riaffiorano sulle sparute note di una chitarra che sembra volersi dilatare, prima che il piano finisca laddove tutto era cominciate, nelle lacrime. Semplicemente stupendo.6. “Alt Brenner Nå”: si ritorna ad un andamento più allegro, meno solenne, più popolare, in una ballata dal sapore quasi celtico. Kari dimostra di non essere banale anche quando si cimenta in brani più radio-friendly. Canzone perfetta per la festa di primavera.7. “Savn”: è la canzone più minimale del lotto, tutta giocata sulla prova vocale do Kari. Il mood sembra sofferto, di fatto uno dei pezzi più deboli del disco.8: “Øye For Øye”: brano molto corto, assolutamente spurio rispetto al mood del disco, anche se l’interpretazione di Kari assomiglia a un mantra. Brano trascurabile.9: “Storefjell”: con quasi 6 minuti e mezzo è la canzone più lunga e sicuramente quella nella quale si respira la maggiore tensione, frutto di un tappeto di tastiere ambient, oscuro e freddo, che a tratti sembra citare certe atmosfere care ai Pink Floyd, mi sembra addirittura di sentire echi dell’intro di “Shine On You Crazy Diamonds”.Cosa altro aggiungere su questo disco? Un disco molto buono, non un capolavoro, per via di alcuni riempitivi nella seconda parte del disco, ma capace di una prima parte superba, intensa ed emozionale.
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