Quando si parla degli olandesi
Sinister ammetto di essere spudoratamente di parte, li amo da sempre, sono una delle mie bands preferite e li ritengo, senza tema di smentita, una delle migliori death metal bands di sempre, non solo in ambito europeo. Li amo così tanto che mi piacevano persino gli album con
Rachel Heyzer alla voce.
Quanto detto mi serve per introdurre il nuovo “
Deformation Of The Holy Realm”, quattordicesimo disco, praticamente un record, che li vede più incazzati che mai e con, finalmente, una bellissima copertina old style.
Le dieci tracce – che in realtà sono otto se non si considerano l’introduzione, la splendida “
The Funeral March” e l’outro “
Entering The Underworld”, a carattere orchestrale – ce li presentano, anche grazie ad una formazione rinnovata – che vede l’entrata in scena del nuovo chitarrista
Michal “Grall” Galak e del nuovo bassista
Ghislaine Van Der Stel – , più in forma che mai, grazie ad un songwriting più fresco rispetto al recente passato, nel quale, fermo restando la brutalità di fondo e la perizia tecnica, si è fatto un notevole passo avanti in fatto di dinamismo sonoro, varietà compositiva e vivacità esecutiva.
La title-track è un pezzo serrato, aggressivo, brutale, con una pioggia di blast beat spaventosa ed un monumentale riff finale che è solo l’antipasto rispetto alla successiva “
Apostles Of The Weak”, una delle canzoni simbolo di questo disco, che subito introduce una delle riuscite novità del sound dei
Sinister, ovvero una serie di orchestrazioni e cori che non annacquano le canzoni, bensì gli danno quel flavour apocalittico e quasi sacrale che ci riporta ai tempi di dischi come “
Diabolical Summoning” ed “
Hate”, anche grazie ad alcuni riusciti rallentamenti.
Dicevo di un rinnovato dinamismo sonoro e “
Unbounded Sacrilege” ce ne offre subito un esempio, con una struttura e un riffing che quasi strizzano l’occhio al metalcore o a certo death/thrash di marca swedish, inducendo in un headbanging sfrenato.
Il sound è più aperto, meno brutale e involuto rispetto al passato, la stessa voce di
Aad Kloosterwaard non scende molto in basso, restando su un registro aspro, sgraziato, che addirittura in “
Oasis Of Peace – Blood From The Chalice” sembra quasi volerlo abbandonare. Non deve essere stato facile maltrattare in questo modo la propria trachea, anche se in alcuni frangenti è possibile udire backing vocals di supporto in screaming che sembrano addirittura mutuare la tecnica del pig squealing.
“
Unique Death Experience” raggiunge notevoli picchi di brutalità e velocità di esecuzione, ma si fregia anche di un assolo pulito e melodico, molto espressivo, pur essendo un pezzo piuttosto canonico.
La durata delle canzoni è medio/lunga, canzoni come “
Scourged By Demons” superano i sei minuti, per via di parti più cadenzate, che non sempre sono un bene, perché spezzano l’impatto delle composizioni, inficiando l’intensità e la densità di suono. Una cosa è cadenzare la propria musica, allungandola, altro è inserire rallentamenti per esaltare le accelerazioni brutali e dare un senso di soffocamento. Su questo disco le parti cadenzate rappresentano un punto debole, per quanto poc’anzi detto.
L’intro di “
Suffering From Immortal Death” è epicità pura ed esalta il riffing iniziale, di matrice thrash, per una canzone che parte veloce, sparata, mettendo in scena un sound somigliante ad un turbinio, inframmezzato da rallentamenti e parti cadenzate.
Il copione si ripete con la successiva “
Oasis Of Peace – Blood From The Chalice”, introdotta da un bellissimo coro, e che spinge ancora di più sull’acceleratore della brutalità, in sostanza facendolo in maniera più convinta e convincente della precedente canzone, al netto della prova vocale di
Kloosterwaard.
La conclusiva “
The Ominous Truth” aggiunge al disco un tocco di oscurità, un pezzo dalle atmosfere quasi doom, ma brutale e ipercinetico. Sicuramente uno dei migliori pezzi del disco.
“
Deformation Of The Holy Realm” è un buonissimo disco, molto heavy, con un sound che dal punto di vista della struttura è molto old style, recuperando radici thrash metal, ma che non lesina in brutalità e velocità, anzi a volte è sin troppo veloce, perdendo in groove. Vero punto debole sono le parti più cadenzate, che assomigliano a pause di creatività all’interno di canzoni che, se asciugate di queste zavorre, potrebbero acquistare maggiore incisività e impatto.
Potente la produzione, ma, come prassi del metal odierno, troppo pulita e artefatta, e stavolta a farne le spese non è solo la batteria ma anche la chitarra.
Ciò detto, in conclusione, dopo 3 anni, non resta che dire “
Bentornati Sinister!”.