Di King e Witch in campo Metal se ne sono visti/e a bizzeffe, in svariate combinazioni, dai moniker dei gruppi ai titoli di album e canzoni, ma è la prima volta che li trovo così combinati.
Un accostamento che a prima vista suona sicuramente strano, e chissà che c'è dietro la scelta di questa band scozzese... forse semplicemente il Re è il chitarrista
Jamie Gilchrist e la Strega la cantante
Laura Donnelly? Potrebbe, infatti, sono i due musicisti presenti sin dagli inizi e che quindi hanno preso parte sia all'EP "Shoulders of Giants" (2015) sia al primo full length "Under the Mountain", uscito nel 2018. E ovviamente sono entrambi primattori sul nuovo album, "
Body of Light", uscito nuovamente per la
Listenable Records e alfiere di quel Doom Metal che i
King Witch sviluppano su quanto proposto da Black Sabbath, Candlemass e Trouble, e già ri(ri)visitato da altre realtà come High On Fire, Below o Sorcerer. Ed i
King Witch lo fanno con un approccio corposo e vigoroso nelle sonorità e soprattutto con la "novità" del cantato femminile, ambito in cui
Donnelly si destreggia egregiamente per potenza, espressività e feeling.
Quello dei
King Witch è un sound che sa essere tanto metallico quanto evocativo e lugubre, i binari su cui scopriamo procedere rispettivamente "
Body of Light" e "
Of Rock and Stone", nell'esoterismo epico della fluente titletrack e i toni più meditati delle seconda, dove la cangiante
Donnely prima seduce e poi incute timori sui riffs manifestamente sabbathiani di
Gilchrist. La presenza di una voce femminile non è certo la premessa per concessioni modernistiche e/o sinfoniche tanto in auge ultimamente, e tantomeno a soluzioni eccessivamente accattivanti e melodiche. Sempre che non siano quelle delle atmosfere sofferte e pachidermiche di
"Call the Hunter" a suggello dell'evidente passione e dedizione verso l'old School Heavy Metal e l'Hard Rock settantiano, nel caso ottimamente supportata da una produzione avvolgente e tanto profonda da entrare sottopelle.
Atmosfere che poi si rischiarano su "
Return to Dust", con un incipit iniziale che si potrebbe quasi definire Western Doom, e che da carattere a quello che si propone come uno dei momenti più Heavy e forse anche il brano che meglio rappresenta tutte le qualità dei
King Witch, comprese quelle della nuova sezione ritmica,
Lyle Brown (che comunque già era presente su "Under the Mountain") e
Rory Lee.
Beh… sono già catturato da questo album e non siamo nemmeno a metà del viaggio, tappa che raggiungiamo sulle note di un altro brano tanto metallico quando massiccio come "
Order from Chaos". E il resto del percorso che ci aspetta non sarà certo una passeggiata primaverile ma un lungo peregrinare, una discesa nell'oscurità della tortuosa e solenne "
Solstice I – She Burns". Poi, senza alcun preavviso, ecco che dall'oscurità sabbathiana irrompe "
Witches Mark", un sabba dove la strega pare voler farci ingurgitare una inquietante pozione velenosa dove tra gli ingredienti si scorgono anche dosi di Malmsteen e Motorhead, cui segue il breve momento acustico di "
Solstice II" prima che il cerchio si chiuda al di là della Nera Porta, che varchiamo, probabilmente con la bene(male)dizione di Leif Edling, dopo dieci minuti di vibrazioni e alternanze epicheggianti ed ossianiche.
Il corpo del(la)
King Witch è illuminato da una luce... oscura.
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