Tornano alla ribalta gli Agalloch, realtà statunitense (non a caso proveniente per la precisione da Portland, città che fa del grigiore, della nebbia e della tristezza le proprie caratteristiche) che mancava dalle scene da lungo tempo, esattamente quattro anni dopo quel “The Mantle” che tanto aveva fatto parlare di loro nel 2002.
Per fortuna la Grau, sottoetichetta della sempre attenta label tedesca Prophecy, ha licenziato questo lavoro per l’Europa e ce lo rende oggi disponibile.
Fortuna sì, perché gli Agalloch con questo “Ashes Against The Grain” compiono il salto di qualità che in molti si aspettavano da tempo, liberandosi da tutte le pesanti, e a volte assolutamente ingiustificate, influenze e somiglianze che li accostavano a bands come Opeth, ormai indissolubile e scomoda pietra di paragone per qualsiasi gruppo vagamente circoscritto in questa area musicale.
Rispetto ai lavori precedenti, la componente gothic è scemata quasi del tutto, lasciando spazio ad un metal oscuro ed apocalittico, molto vicino per simpatia con i Katatonia di “Brave Murder Day” e gli Anathema di “The Silent Enigma”, quindi inquadrabile in un death doom di matrice nord europea, anche grazie al cantato in stile moderatamente black metal che si fonde a perfezione con la musica triste e sulfurea degli Agalloch, accentuata talvolta da clean vocals alla Paradise Lost che amalgano il tutto, consegnandoci brani letteralmente stupendi come “Falling Snow”.
Verso la conclusione del disco, ovvero in concomitanza con la trilogia di “Our Fortress is Burning”, la componente aggressiva del gruppo viene leggermente a scemare, e le parti acustiche, ben fatte ed affascinanti, tendono ad esaltare per i quasi venti minuti del pezzo, che fa decisamente leva sulla propria lentezza e sulla presenza di riffs ipnotici e maligni che giovano non poco all’incedere dell’ultimo pezzo del disco. Ci troviamo dunque di fronte ad un lavoro davvero meraviglioso, interessantissimo ed anzi sconvolgente se pensiamo che è stato partorito da un gruppo statunitense, che solitamente in questi territori musicali è incapace anche solamente di arrivare alla stentata sufficienza. Assolutamente imprescindibile per amanti di Katatonia, Ulver, My Dying Bride e tutto il filone dark depressive scandinavo ma consigliato a tutti coloro che hanno bisogno, in un momento poco felice della propria vita, di covare odio e rabbia verso qualcuno e di utilizzare questi nobili sentimenti per ripartire, utilizzando magari proprio gli Agalloch come colonna sonora di tale vendetta.