Ritornano gli alfieri dell'heavy-sludge metal, a quattro anni di distanza dall'acclamato "Lifespan of a moth". Possiamo considerare il gruppo di San Diego come uno degli artefici della nascita di questo sottogenere musicale, al pari di nomi come Eyehategod, Crowbar e Acid Bath. Formatisi nel 1992, la loro storia è piuttosto travagliata, tra frequenti cambi di line-up ed ampie pause tra un disco e l'altro. Il presente "
Dream squasher" è l'ottavo della loro carriera, nell'arco di oltre venticinque anni. Ed è anche il primo nel quale il fondatore e chitarrista
Bobby Ferry si assume il compito della parte vocale, vista l'assenza dello storico cantante Chris Jerue.
Lo stile è assolutamente consolidato: metal massiccio, granitico, con qualche elemento thrash e punk ma soprattutto un'atmosfera cupa e soffocante, torva e bellicosa, che evoca emozioni di profondo disagio e ferocia eversiva pronta ad esplodere in qualsiasi momento.
"
Candy in spanish" è la sintesi di quanto detto: brutale, grezza, cattiva, con la voce rissosa di
Ferry che accompagna lo sferragliare metallico dei compagni. Metal rozzo e distorto, pesante e lancinante, una sorta di asteroide heavy che si abbatte in maniera deflagrante. La seguente e disperata "
Me & the dog die togheter" (una sorta di testamento esistenziale..) mischia rigurgiti punk con deflagrazioni brutal-thrash, ma nell'assalto all'arma bianca riconosciamo anche la bravura strumentale del quartetto californiano. Che sublima ancora di più in una sorprendente "
Sadlands", dove emergono inaspettate radici rock quasi settantiano. Scopriamo addirittura un hammond in sottofondo ed una tensione melodica clamorosamente vincente. Una sorta di Deep Purple contaminati dal virus metal, con il buon
Ferry che si applica strenuamente per cantare in maniera evocativa. Brano eccellente, se si considera da quale formazione proviene.
"
Harvester of fabrication" ci riporta allo sludge elefantiaco che è il trademark degli statunitensi, un tonnellaggio da sfinimento, mentre "
Acid tongue" è ancora più marcia e doom. Canzone lenta e soffocante come una persistente emicrania, sul genere di Grief, Fistula, Soilent Green e compagnia.
L'album prosegue con l'ultra-metal di "
Agora (killed by a mountain lion)", altro pezzo che trasuda disperazione e ribellione nichilista. Ritmiche terremotanti ma anche un chitarrismo classico che accompagnano l'incedere sfibrante.
Con "
Ride the waves" si passa decisamente in territorio punk-metal trapanante, meno di tre minuti da pogo assassino, mentre "
Summer of '96" rientra nuovamente nello sludge più cazzuto e sferzante. Tipico brano alla
-(16)- con variazioni di riff e qualche accorgimento tecnico interessante. Voce quasi death metal ed atmosfera da tregenda post-apocalittica. Pezzo spezzacollo dalla violenza gratificante.
"
Screw into others" risulta un pò troppo noise e frammentata, a mio avviso la canzone più debole in scaletta, mentre la conclusiva "
Kissing the choir boy" ci riporta al classico sludge martellante e tenebroso di questo gruppo. Riff complessi, atmosfera drammatica e tiro elefantiaco, urla belluine e pesantezza da pesi massimi del metal. Ciò che sono i veterani americani.
Coerenti, determinati e convincenti. I
-(16)- non mollano un centimetro e si confermano una delle formazioni più significative ed ispirate del settore. Se amate lo sludge ed il metallo davvero pesante, questo è un lavoro che garantisce grandi soddisfazioni.
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