Agli Shineth piacciono i Beatles, i Cheap Trick e gli Enuff Z’Nuff e questo è innegabile; poi però sono anche svedesi e la scuola dell’hard melodico tipica del nord Europa (Talk Of The Town, Skagarack, Alien, Stage Dolls, oltre ad una spruzzatina di TNT, uno dei gruppi fondamentali dell’intero movimento) ha sicuramente influenzato il loro modo di suonare.
Da tutte queste ascendenze (alle quali va ovviamente aggiunta, per il classico fenomeno di “traslazione” a ritroso, anche la tradizione dell’AOR americano) ne scaturisce un dischetto frizzante e assai gradevole, pieno di melodie edulcorate e “poppettose”, splendide armonie vocali e squarci di psichedelia vaporosa, a rappresentazione delle facoltà di un duo munito di considerevole talento e acume compositivo.
Gli Shineth sono, infatti, la creatura artistica di Sebastian Roos e Anders Berlin, i quali non solo si sono occupati della questione esecutiva (con il minimo sostegno di qualche ospite) e creativa, ma anche di quella “produttiva”, dando forma ad un discreto lavoro complessivo anche senza grandissimi mezzi e il supporto di una vera etichetta discografica.
Le vibrazioni migliori le ho personalmente ricavate dal clima vivace e istantaneamente “infettivo” di “Embrace you”, dal riff pesante ed oscuro che si apre a suggestive stratificazioni canore e dal synth di “Leaving home” (c’è anche qualcosa dei conterranei Dogpound in questo brano), dalle velleità sentimentali di “Lonely”, dal tessuto pregiato di “Should I”, dalla vibrante leggiadria malinconica di “Joker” (con un intrigante contrappunto di flauto traverso) e, per finire, dal clima pomp/class metal di “Die happy” e dalla melodia generosa di “WAISTD?” (acronimo di “What Am I supposed To Do?”) con il suo flavour vagamente “attualizzato”.
Un gruppo da annotare sul taccuino (o sull’organizer dello smartphone, se si è particolarmente high-tech addicted!) e da seguire attentamente nelle sue prossime mosse, che ci auguriamo possano essere amministrate da una label di livello in grado di sfruttare appieno le qualità che Sebastian e Anders dimostrano chiaramente di possedere.
Chissà che molto presto quel “discreto” usato qualche riga fa possa trasformarsi in un aggettivo ben più lusinghiero e altisonante.
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