E’ praticamente inevitabile … ogni nuovo appuntamento discografico con gli
House Of Lords riporta la mia ormai ottenebrata memoria al giorno in cui, perdutamente innamorato da quanto proposto da Angel e Giuffria, m’impossessai del primo album del nuovo progetto del divino
Gregg, affascinato prima dal nobile stemma araldico che campeggiava sulla sua copertina e poi dal contenuto di solchi altrettanto preziosi e aristocratici.
Da allora, sia io sia la
band americana siamo fatalmente cambiati e giacché non credo sia di alcun interesse per il lettore avere aggiornamenti sullo stato del mio processo di “maturazione”, direi di concentrarci su quello degli autori di “
New world - new eyes”, decimo sigillo di una carriera complessivamente ad alto livello.
Attenuate progressivamente le prerogative pompose degli esordi, diciamo che gli
House Of Lords sono diventati un “prodotto” particolarmente adatto agli estimatori di Whitesnake, Great White e Baton Rouge, ed è proprio a loro che si rivolge ancora una volta questo nuovo lavoro, maggiormente ispirato di “
Saint of the lost souls” e tuttavia non ancora all’altezza di “
Precious metal”, “
Come to my kingdom” e “
World upside down", i capolavori della potestà pressoché assoluta di
James Christian sul gruppo.
E’ proprio l’ex L.A. Rocks, unico “superstite” originale della blasonata stirpe, a pilotare con la sua ugola erudita ed emozionante (superati i piccoli appannamenti del disco precedente) un
songwriting sofisticato e ruggente, a cui contribuisce con profitto la penna illuminata di
Mark Spiro, coadiuvato da altri nomi importanti della “scena” come
Tommy Denander,
Chris Pelcer e
Richard Hymas.
Il resto lo fanno la chitarra tagliente e intensa di
Jimi Bell e l’affidabile sezione ritmica composta da
Chris Tristram e
B.J. Zampa, magari non esattamente dei veri “fuoriclasse” del settore eppure piuttosto abili nel sostenere un suono fatto di energia
hard-rock e atmosfere avvolgenti e pulsanti.
Introdotta da un tappeto di tastiere vagamente “depistante”, “
Change (What's it gonna yake)” apre le ostilità attraverso una felice mistura di Bad English / Whitesnake / Warp Drive, seguita da una
title-track ancora più intrisa di
hard-blues, supportata da un’enfasi direttamente ereditata da Led Zeppelin e Rainbow.
“
One more” si concede all’astante con una solarità contagiosa, e se “
Perfectly (You and I)” è una gradevole
power-ballad non priva di retorica, tocca alla vivace “
The both of us” tornare a imprimere il giusto slancio a un programma che con “
Chemical rush” conia un altro riuscito e temperamentale tributo all’immarcescibile arte degli
Zeps.
Le melodie avvincenti e lo sfarzo di “
We're all that we got” e "
Better off broken” accendono in maniera impetuosa i sensi dei fedelissimi degli
House Of Lords, purtroppo non altrettanto esaltati dall’anonima “
$5 Buck of gasoline” e da una “
The chase” solo “divertente” nel suo evocare nostalgici edonismi
ottantiani, tra certe cose degli Aerosmith e vaghi richiami alla celeberrima “
The heat is on” di
Glenn Frey.
“
The summit”, elegante e vibrante al tempo stesso, è l’ultima bella scossa di una cinquantina di minuti di musica capaci di trasmettere un consistente piacere d’ascolto, non lontanissimo dai massimi livelli raggiunti nel passato recente da una formazione in pregevoli condizioni di forma artistica.