Aleah era bella, di quella bellezza capace di far male, capace di trasportarti direttamente in una favola, di quelle romantiche, ma non sdolcinate, dove la luce e l’oscurità si fondono e dove l’amore e la morte si avvinghiano fino a divenire un tutt’uno, oltre il tempo e la materia.
E la morte ha spento la flebile fiammella di
Aleah, lentamente, lei che era capace di brillare incandescente come la stella più bella del cielo del nord, anche se era nata a sud, in Sudafrica, in quelle terre australi ai confini del mondo, prima di trasferirsi in Scandinavia, altra terra di confine.
La sua voce ha colorato in maniera tenue ed eterea vari dischi nel corso negli anni, soprattutto con
Swallow The Sun e
Amorphis, prima del debutto e
unico disco dei
Trees Of Eternity, dove finalmente era protagonista insieme al compagno di vita
Juha Raivio. L’album, uscito postumo, segnava il canto del cigno, o meglio, dell’usignolo, parafrasandone il titolo.
Ma
Aleah non aveva ancora detto tutto, e Juha è riuscito a mettere insieme il materiale registrato per l’album che la cantante avrebbe sempre voluto realizzare.
L’opera si compone di un doppio disco, il primo acustico e il secondo elettrico, ma l’acquisto del disco permette l’accesso ad un link per scaricare ulteriore materiale registrato.
La voce di
Aleah sembra provenire da un’altra dimensione, ricca di sfumature, capace di farti provare nostalgia o malinconia per ricordi che non sono persino mai avvenuti, ma solo immaginati.
L’iniziale “
Vapour” è clamorosa nel suo essere decadente e crepuscolare, venata di una malinconia indefinita ed indefinibile, e la voce di
Aleah sussurrata, sofferente, che si libera nel ritornello, come un angelo per troppo tempo tenuto in catene.
Vorrei tentare di descrivere il carico emozionale di un disco che è pura anima, è pura sofferenza, è pura ed eterea poesia. E allora chiudiamo gli occhi, e viaggiamo sulle ali di brividi in “
Open Sky”, versiamo lacrime disperate su “
My Will” mentre il cuore ci scoppia letteralmente nel petto su “
Breathe”.
Non è possibile approcciarsi a questo disco come una mera opera musicale, è un viaggio, un testamento, di chi è già dall’altra parte, perché ha già ascoltato il richiamo dell’eternità. È una testimonianza unica del fatto che l’anima esiste ed è immortale, perché è l’anima di
Aleah che ci parla attraverso i solchi di questo disco. Come ci sussurra all’inizio di “
Touch My Face”, “
I’m nothing but my own voice”, pura voce, pura emozione.
E la sua voce riesce a svettare anche nei pezzi elettrificati, dove non le basta più sussurrare ma deve lasciare andare l’interpretazione, donando a pezzi come “
My Will” nuova e diversa luce. Luce bellissima.
Un’ora e mezza di musica oscura, gotica, decadente, doom nell’animo, che anche quando è pop non riesce ad essere leggera, bensì intensa e struggente.
Non giudicherò ciò che tocca con viva emozione l’assoluto, giudice è solo il tempo e la sua eternità. E a noi non resta che subire, accettare un destino oscuro e pesante ma imperscrutabile.
“The flame that burns twice as bright, burns half as long”