L'islanda è una terra affascinante, avvolta in quell'alone di solitudine che permane nonostante nella nostra epoca, tra mezzi di comunicazione e di trasporto, ci è possibile arrivare ormai dovunque. La terra dei ghiacci riesce nonostante tutto a mantenere quell'aura di inaccessibilità, di separatezza, di singolarità che sembra essere andata perduta nella gran parte delle regioni antropizzate, perlomeno in Europa.
Una tale inaccessibilità non si riscontra solo a livello naturalistico o per quanto riguarda la conservazione delle tradizioni, infatti, l'Islanda è anche terra di innovazione artistica. Soprattutto in ambito black metal. Una pletora di band di grande personalità e qualità provenienti dall'isoletta si sono imposte negli ultimi anni nell'underground del sottogenere più estremo del metal, portando con sé quell'inacessibilità che ben caratterizza il profondo nord.
Si tratta di band tra loro stilisticamente anche molto diverse ma che hanno in comune il tentativo - spesso e volentieri ben riuscito - di proporre un black metal personale, stilisticamente nettamente distinguibile dalle tradizionali declinazioni del genere. Giusto a titolo di esempio possiamo citare monicker come
Zhrine,
Svartidauði,
Örmagna,
Misþyrming,
Guðveiki,
Almyrkvi, per non parlare dei ben più noti
Sólstafir.
Anche gli
Andavald si inseriscono in questa scena e si portano dietro la volontà - oltre che la capacità - di spingere un po più in là i limiti posti in essere dal genere: certo, il black metal sembra prestarsi alla contaminazione con altre influenze ed alla sperimentazione ma è anche un genere che detiene una sua intransigenza, una necessità di non corrompersi, e proprio questo fattore rende spesso difficile proporre innovazioni convincenti che non si tramutino in vergognosi sputtanamenti. Non è assolutamente questo il caso. Il black metal degli Andavald si discosta in modo radicale dal canone dominante il genere ma ne conserva le intenzioni, lo spirito, potremmo dire. Il tentativo è quello di porre l'asticella dell'estremismo sonoro sempre un passetto oltre e il modo con cui ciò viene portato avanti dai nostri consiste in un black metal tendenzialmente piuttosto lento e soffocante, giocato su chitarre molto cupe con riff densi e magmatici che sembrano trascinarsi avanti in una cangiante agonia. Il sound è impreziosito da tetri arpeggi che catapultano l'ascoltatore in una dimensione di angoscia e sofferenza piuttosto pesanti. Il disco, infatti, è tanto bello quanto emotivamente piuttosto impegnativo da affrontare.
Fortuna (o pietà nei nostri confronti dalla parte della band?) vuole che la durata del disco si assesti al di sotto dei 40 minuti che, vi assicuro, all'inizio vi sembreranno un'infinità. Per questo ho parlato di inaccessibilità: pur non giocando a suonare pesanti o veloci oltre modo, gli Andavald ci atterriscono con un album tremendo da quanto può essere destabilizzante sul piano emotivo, mostrando il suo valore solo a chi sarà in grado di sorpassare l'ostacolo dell'angoscia da esso emanata. Non vi sarà facile, non tutti ce la faranno. Ma bisogna fare dei sacrifici. Il godimento si avvicina a una forma di purezza nelle sue manifestazioni più singolari e proprio per questo ogni grande disco non può essere apprezzato da tutti. Questo, da pochi.
C'è un ulteriore particolare, determinante, che mi sono tenuto per la fine. Se l'ammaliante lavoro armonico di chitarra è ciò che sorregge questa gemma di straziante oscurità va altresì menzionato lo strepitoso influsso della voce: in tutto il panorama metal non esiste una voce al contempo così feroce, profonda, lancinante e disperata. La grandiosità della performance vocale - da un punto di vista emotivo - è spesso, come il mood generale dell'opera, letteralmente insostenibile per quanto espressiva riesce ad essere nel trasmettere la disperazione e il lutto in petto ad un'esistenza che per gli Andavald è lenta agonia.
La carica emotiva di questo magnifico lavoro di chitarra, di questa voce che chiama dalle profondità più recondite è talmente elevata e inassimilabile agli schemi con cui siamo abituati a interpretare il black metal che l'unico modo per rendersi conto di ciò che vado scrivendo è dare una possibilità a questo ostico disco, un'esperienza immersiva, un viaggio nel buio del dolore così vivido che il vostro atteggiamento sarà necessariamente ambivalente: l'eccessiva disperazione e il fascino del viaggio proposto dagli islandesi continueranno a implicarsi a vicenda in un movimento reiterato tra i poli della fascinazione e del rigetto senza soluzione di continuità.
Un grande lavoro, di una profondità emotiva e "concettuale" tale da essere destinato a passare in sordina per essere apprezzato da chi possiede il gusto in quanto tale per l'estremismo, per chi è disposto, cioè, a sobbarcarsi la sofferenza che sgocciola densa da questi solchi.
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