E’ opinione abbastanza diffusa, almeno tra la porzione più intransigente (e talvolta un po’ miope …) della comunità
rockofila, che il termine “maturità” finisca per essere sinonimo di “imborghesimento” espressivo, perpetrato per assenza di stimoli o magari nel tentativo di allargare la propria
fanbase (come dicono quelli che ne sanno …).
Il caso degli
Hell In The Club smentisce in maniera evidente tale semplicistica valutazione, dimostrando che una
band, ambiziosa e talentuosa, può “crescere” in maniera sostanziosa nel suo percorso artistico, consolidando le sue qualità e incrementando al contempo sicurezza e carisma, divenendo così un riconoscibile protagonista del settore.
“
Hell of fame” è l’inebriante conferma di un approccio alla materia
sleaze-metal variegato e accattivante, improntato all’orecchiabilità, ma saturo di elettricità e di grinta, contraddistinto da una compattezza e da una disinvoltura interpretativa davvero esemplari.
I nomi di Mötley Crüe, Skid Row, Def Leppard e Guns 'n 'Roses, così come quelli di Crashdiet e Wig Wam, continuano a essere plausibili riferimenti da fornire a qualche imbelle che ancora non conoscesse la proposta dei nostri e tuttavia è sufficiente ascoltare “
We’ll never leave the castle”, l’avvio di un pieno contagio emozionale che durerà quarantaquattro minuti, per ricordarsi come
hard melodico e suggestioni
glamour riescano a creare, nelle mani giuste (Danger Danger, Poison e …
Hell In The Club!), un connubio assolutamente avvincente.
“
Worst case scenario” inaugura la sequenza degli
anthems più metallici ed enfatici, un’altra specialità della “casa”, mentre se cercate qualcosa di maggiormente “stradaiolo” ecco arrivare “
Here today, gone tomorrow”, una figlia “degenere” dei migliori Mötley Crüe.
Le viziose armonie e il
refrain di “
Joker", non lontanissima da certe cose di
Alice Cooper, continuano un’opera di soggiogamento che con “
Last of an undying kind” ritorna a essere sferragliante e tagliente, per poi solcare atmosfere “sintetiche” in “
Nostalgia” e trasformarsi in languidezza nelle trame acustico-sinfoniche di “
Lullaby for an angel”, che risolve in bello stile l’immancabile e insidiosa pratica della ballata romantica.
“
Mr. Grouch” e “
No room in hell” rimpinguano ulteriormente la quota esplicitamente
street-metal del programma e meglio ancora di queste pur eccellenti dissolutezze sonore ad alto voltaggio appare “
Tokyo lights”, che si segnala nuovamente per una linea melodica sagacemente “a presa rapida”.
WASP,
Alice Cooper, Leatherwolf e Malice si ritrovano coinvolti nelle ombrose cromature di “
Lucifer’s magic”, l’atto di chiusura di un
grande disco, l’ennesimo, di un gruppo ormai diventato “grande”, in tutte le accezioni positive possibili.