Inutile nasconderlo … per i
rockofili della mia generazione, ascoltare e vagliare un disco dei
Pride of Lions equivale ad abbandonarsi alla nostalgia, a rivivere sensazioni forti mai dimenticate, a immaginare che il mondo sia quel posto ricco di opportunità dove ci si può imporre grazie alla volontà e alla determinazione.
Ovviamente la situazione era e, soprattutto, è, “leggermente” più complessa, ma è sempre molto emozionante tornare a immergersi in questa illusione, sostenuti da una colonna sonora che sicuramente ammalierà i vecchi
fans di
Jim Peterik, chi ha imparato ad apprezzarlo per la felice
partnership con
Toby Hitchcock e magari, perché no, arrivare a conquistare nuovi adepti, che attraverso l’impeccabile prestazione del gruppo (e a tal proposito merita una segnalazione anche l’ottimo lavoro di
Mike Aquino) potranno inalare a pieni polmoni le atmosfere di un’epoca che ha lasciato tracce indelebili nel cuore di tutti i “guerrieri romantici”.
La musica contenuta in “
Lion heart” è il "solito" concentrato di melodia,
epos e lirismo e anche se talvolta il coefficiente di teatralità rasenta il limite del
kitsch, tra i suoi solchi c’è così tanta ispirazione e naturalezza da rendere il tutto perfettamente coerente e coinvolgente.
Trattare i singoli episodi del programma diventa così una sorta di “esercizio di stile” a cui tuttavia non mi sottrarrò, segnalando in prima istanza i momenti che mi hanno regalato all'istante le maggiori scosse emotive e che si chiamano "
We play for free” (
ah, quel piano battente che delizia … e che dire del
refrain vagamente
Desmond Child-iano …), "
Heart of the warrior”, la frizzante “
Good thing gone” e l’evocativa “
Now”, senza dimenticare la suggestiva “
Rock & roll boomtown” (con qualcosa di Styx e Kansas nell’impasto sonico) e la grintosa “
You’re not a prisoner”, da consigliare a quelli che ritengono i nostri incapaci di variare la propria formula espositiva o “mostrare i muscoli”.
La
sciccheria adulta “
Carry me back”, la Foreigner-
esca “
Sleeping with a memory” e l’infettiva “
Flagship” seguono a breve distanza nella graduatoria dell’apprezzamento, mentre se qualche brano (la
title-track, la
ballad “
Unfinished heart", “
Give it away”), poi, appare lievemente meno efficace e più prevedibile, è solo perché dai “migliori ci si aspetta il meglio” e si è dunque fatalmente indotti a soppesare con il bilancino ogni - in altre circostanze abbastanza trascurabile - minima flessione espressiva.
I
Pride of Lions si confermano maestri nella copiosa trasmissione di emozioni, magari non inedite, e ciò nonostante maledettamente vere e intense, immuni al turbinio delle mode … in altre parole, “
Lion heart” è l’ennesima bomba sonora pronta a deflagrare nei gangli sensoriali di tutti gli appassionati del genere.
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